04/10/2020
Abuso del diritto: non c’è spazio per l’evasione
Nell’abuso del diritto non c’è spazio per vicende imputabili all’evasione. Questo – per fortuna, visti i tanti fraintendimenti sul tema - il principio che si ricava dalla sentenza 30 settembre 2020, n. 20823, della Cassazione, la quale richiama il precedente “monito” contenuto nella sentenza 27550/2018.
Anche in questo caso, come nella sentenza n. 27550/2018, la vicenda riguarda una situazione antecedente all'introduzione dell'articolo 10-bis dello Statuto del contribuente. Ma la sostanza non cambia: anche prima dell'introduzione dell'articolo 10-bis occorreva – ovviamente – distinguere l'evasione dall'elusione (abuso del diritto). Questo anche se, a dire il vero, molte volte, sia in ambito giurisprudenziale che nella prassi, si sono verificate (così come ancora si verificano) talune commistioni tra i due concetti.
La questione relativa alla pronuncia 20823/2020 riguarda sostanzialmente un contratto di finanziamento tra società controllante e controllata che è servito a quest'ultima per acquistare dei beni poi noleggiati, con un pagamento differito nel tempo, alla stessa controllante (la quale, compiendo prevalentemente operazioni esenti, non poteva detrarre l’Iva). Il contratto di finanziamento posto in essere è stato ritenuto, in realtà, il corrispettivo del noleggio.
Ad ogni modo, al di là della particolare vicenda posta in essere, quello che sottolinea la Corte è che il mancato versamento delle imposte in relazione ad un negozio qualificato in modo giuridicamente (lo si sottolinea) corretto dall'amministrazione finanziaria integra un’ipotesi di evasione e non di elusione. Occorre infatti rilevare che nell'abuso del diritto, oltre a non esservi una violazione di una specifica disposizione di legge, non c'è alcuna manipolazione della realtà: vi è coincidenza tra ciò che le parti dichiarano di volere e ciò che realmente vogliono. Le parti dichiarano di volere determinati effetti giuridici (che possono determinare anche degli effetti economici difformi), e tale volontà non è simulata, ma effettiva.
Ed è proprio la realizzazione degli effetti giuridici che consente di raggiungere il risultato (elusivo) desiderato, che consiste nel risparmio indebito d'imposta. L'evasione, invece, identifica la violazione di precetti normativi, perpetrata soprattutto attraverso atti e comportamenti celati, nascosti o, comunque, volti a dissimulare l'effettiva ricchezza prodotta mediante la creazione di una realtà in apparenza divergente da quella effettiva. Nella simulazione/dissimulazione/interposizione vi è dunque una asimmetria tra la situazione formale e quella reale - quindi si è nell'ambito dell'evasione - mentre nell'elusione non vi è alcuna divergenza tra apparenza e realtà.
Nell’elusione (abuso del diritto) i soggetti vogliono infatti raggiungere propriamente gli effetti – ivi inclusi i vantaggi fiscali, che però risultano indebiti – di quel particolare negozio. In definitiva, l’abuso non implica affatto una simulazione del contratto e la presenza di contro dichiarazioni attestanti una diversa volontà delle parti rispetto a quella manifestata nella strumentazione negoziale posta in essere. E ciò in quanto, nel concludere quei contratti, se ne accettano tutte le conseguenze, in quanto esse rappresentano ciò che si desidera ottenere, anche a livello fiscale.
Nell’elusione non si realizza alcun abuso delle forme giuridiche finalizzato a sottrarre una certa operazione al suo regime naturale. Il compito di una norma antielusiva, peraltro, non è certamente quello di superare le forme giuridiche impiegate, ma di andare – semplicemente - a colpire quei vantaggi fiscali che contrastano con lo spirito delle leggi tributarie.

Dario Deotto
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