24/08/2017
La «riqualificazione» pesa sul registro
Nelle risoluzioni di fine luglio, l’agenzia delle Entrate ha riconosciuto, come si è visto, che se il sistema offre più percorsi alternativi e tutti questi percorsi risultano legittimi, il contribuente può scegliere quello fiscalmente meno oneroso (e questo a prescindere dalla sostanza economica sottostante). L’Agenzia, però, si è “rimessa” nelle mani della Cassazione per quanto concerne la possibilità di riqualificazione (in realtà, sarebbe qualificazione) di certe operazioni ai fini dell’imposta di registro.
La questione “ruota” attorno alla previsione dell’articolo 20 del Dpr 131/1986, la quale stabilisce che «l’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione». Si tratta di una previsione che ha una precisa storia, che nasce, addirittura, con l’articolo 7 della legge 585/1862, norma che è stata sostanzialmente riconfermata con l’articolo 8 del Rd 3269/1923.
L’effetto degli atti
Queste disposizioni non specificavano se l’interpretazione degli atti dovesse avvenire sulla base degli effetti giuridici o su quelli economici. Fautori della “teoria economica” furono alcuni illustri studiosi della “scuola di Pavia”, che si ricollegavano, peraltro, alla prima norma antielusiva tedesca (1919). La dottrina maggioritaria riteneva, invece, che dovessero essere presi in considerazione i soli effetti giuridici dell’atto.
La validità della tesi “giuridica” venne confermata dal legislatore della riforma degli anni Settanta del secolo scorso, attraverso la formulazione dell’articolo 19 Dpr 634/1972, successivamente riprodotto nel testo dell’attuale articolo 20 Dpr 131/1986, nel quale si fa chiaramente riferimento agli “effetti giuridici” nell'interpretazione degli atti sottoposti a registrazione.
In sostanza, la norma delimita ciò che l’ufficio può fare al momento della registrazione: può certamente individuare e tenere in considerazione, ai fini della liquidazione dell’imposta, la “intrinseca natura” dell’atto, anche facendo riferimento ad atti “collegati”, e non fermarsi alla forma apparente dello stesso. Ma, secondo la giurisprudenza della Cassazione, la norma permetterebbe di qualificare gli atti portati alla registrazione secondo la causa concreta economica degli stessi, nonostante l’articolo 20 limiti chiaramente l’indagine agli effetti giuridici.
Il fatto è che la questione di considerare la “supremazia” di un effetto sull’altro (effetti giuridici prevalenti su quelli economici o viceversa) appare probabilmente “deviante”. Infatti, occorre considerare che gli effetti economici non sono altro che una conseguenza, meglio una “qualificazione”, degli effetti giuridici. Non c’è effetto economico se “a monte” non vi è un atto giuridico.
La «forma» legittima
Così, questo processo di qualificazione non può portare a sostituire una forma giuridica rispetto ad un’altra, se quella utilizzata risulta legittima. Difatti, se una cessione totalitaria di quote viene considerata sotto il profilo economico cessione d’azienda, non si fa altro che sostituire, di fatto, una forma giuridica (la cessione totalitaria di quote) con un’altra (la cessione d’azienda). Il fatto è, però, che sia la cessione di quote totalitaria che la cessione d’azienda risultino percorsi giuridici legittimi. Con la conseguenza che, pretendendo di sostituire una forma giuridica con un’altra ritenuta “ideale”- perché soggetta ad una tassazione più onerosa - si tornerebbe indietro di quasi un secolo e di tutto quanto (impropriamente) ne è seguito. Risulterebbe, di fatto, del tutto inutile il principio del legittimo risparmio d’imposta, “codificato” dal comma 4 dell’articolo 10-bis dello Statuto del contribuente. Così, il “limite” che gli uffici dell’amministrazione e i giudici devono rispettare risulta quello del legittimo risparmio d’imposta, che non può portare a veicolare la tassazione attraverso una forma giuridica diversa da quella utilizzata, se questa risulta legittima. Invece, gli uffici e i giudici possono provvedere senz’altro a riqualificare vicende simulatorie/dissimulatorie, ma qui l’articolo 20 del Dpr 131/1986 non c’entra proprio nulla. Il classico esempio è quello del “frazionamento” del trasferimento d’azienda in più beni: si tratta di dissimulazione di una cessione d’azienda. Ulteriormente, quando un contratto di comodato viene portato alla registrazione e dalle clausole si desume, ad esempio, che c’è un corrispettivo, l’ufficio deve “qualificarlo” correttamente come contratto di locazione.
D.D.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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