09/10/2017
L’operazione lecita non va riqualificata
Le vicende simulatorie rivestono una particolare rilevanza anche nell’ottica dell’imposta di registro e, in particolare, per la “chiacchierata” previsione dell’articolo 20 del Dpr 131/1986. Quest’ultima norma ha una storia plurisecolare: nasce sostanzialmente con l’articolo 7 della legge 585/1862. Il fatto di ripercorrere la storia dell’articolo 20 non risulta solamente rilevante per dirimere la nota disputa sulla prevalenza o meno di un effetto sull’altro (effetti giuridici rispetto a quelli economici), ma anche per comprendere che la ratio della disposizione ha sempre voluto cogliere ciò che «le parti hanno effettivamente fatto, non quello che hanno finto di fare» (Clementini, «Leggi sulle tasse di registro», 1888). In sostanza, la previsione dell’articolo 20 del Dpr 131/1986 risulta diretta anche a individuare le ipotesi simulatorie/dissimulatorie. E, in ogni caso, queste ipotesi possono comunque essere accertate, a prescindere dall’esito civilistico, in base all’articolo 2, comma 3, del Dlgs 546/1992, che – come si è visto – permette al giudice tributario di risolvere «in via incidentale, ogni questione da cui dipende la decisione delle controversie rientranti nella propria giurisdizione». In questo modo gli uffici e i giudici possono certamente provvedere a qualificare il classico “spezzatino” dell’azienda in una cessione d’azienda.
La “latitudine” dell’articolo 20 del Dpr 131/1986 non permette invece – nonostante le attuali “devianze” della giurisprudenza di legittimità – di considerare la prevalenza dell’effetto economico su quello giuridico, sostituendo una forma giuridica legittima con un’altra altrettanto legittima. Ad esempio, se una cessione totalitaria di quote viene considerata sotto il profilo economico cessione d’azienda, avviene che, di fatto, si sostituisce una forma giuridica (la cessione totalitaria di quote) con un’altra (la cessione d’azienda). Questo in quanto gli effetti economici non sono altro che una “qualificazione” di quelli giuridici. Così, provvedendo a “sostituire” la cessione di quote con la cessione d’azienda, gli uffici (e poi i giudici) non fanno altro che “qualificare” anche giuridicamente l’operazione come cessione d’azienda. Ma questo può senz’altro essere fatto, come si è visto, nelle ipotesi simulatorie/dissimulatorie, e a prescindere dalle invalidità negoziali, ma non per sostituire una forma giuridica legittima con un’altra altrettanto legittima. La presunta ricerca degli effetti economici si verrebbe a tradurre impropriamente nella “qualificazione” di una o più operazioni in una ideale, paradigmatica, soltanto perché più onerosa fiscalmente.
Risulterebbe del tutto superfluo allora il principio del legittimo risparmio d’imposta, ora “codificato” nell’articolo 10-bis dello Statuto del contribuente.
Sicché il “limite” che gli uffici e i giudici devono rispettare nell’eventuale “qualificazione” risulta quello del legittimo risparmio d’imposta, che non può portare a veicolare la tassazione attraverso una forma giuridica diversa da quella utilizzata, se questa risulta legittima.
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