15/01/2018
Nuovo articolo 20 del registro, i punti fermi sulla decorrenza

Con le modifiche apportate dalla legge di Bilancio 2018 viene messo un freno alla presunta attività riqualificatoria degli uffici e dei giudici in relazione all’articolo 20 del Testo unico dell’imposta di registro (Tur, il Dpr 131/1986). Attività che si fondava sulla tesi della prevalenza dell’effetto economico su quello giuridico, nonostante il chiaro riferimento della norma agli effetti giuridici. Ora l’articolo 20 del Dpr 131/1986 prevede che l’attività interpretativa degli uffici deve riguardare il singolo atto portato alla registrazione, tralasciando eventuali legami con altri atti negoziali. In questo modo non potranno essere più riqualificate sotto il profilo economico delle sequenze negoziali complesse, ma nemmeno il singolo atto portato alla registrazione.
L’unica nota stonata dell’intervento è il riferimento nell’articolo 53-bis del registro all’abuso del diritto (è chiaro che l’abuso del diritto trovava già applicazione per l’imposta di registro), ma, se si comprende la “latitudine” dell’abuso, si tratta in realtà di ben poca cosa, visto che le operazioni elusive risultano numericamente davvero limitate. Occorre comunque rilevare che il nuovo articolo 53-bis del registro richiama tutto l’articolo 10-bis dello Statuto del contribuente, e quindi anche (soprattutto) il principio del legittimo risparmio d’imposta, il quale consente al contribuente di scegliere la forma giuridica meno onerosa fiscalmente, e questo, ovviamente, deve valere anche nell’ottica dell’imposta di registro.
Il problema che oggi si pone è quello dell’efficacia temporale della nuova norma. Nella relazione di accompagnamento al disegno di legge è stato fatto un riferimento alla finalità chiarificatrice dell’intervento, il che potrebbe fare pensare ad una sua valenza interpretativa. Tuttavia, occorre considerare che la norma ha indubbiamente introdotto degli elementi innovativi, per cui qualche dubbio sulla valenza interpretativa della stessa appare lecito.
Va ad ogni modo considerato che la Corte costituzionale ha riconosciuto i contorni della norma di interpretazione autentica anche in norme cosiddette «innovative criptoretroattive» (Corte costituzionale, n. 234 del 2007), così come la stessa Corte ha affermato che la norma di interpretazione autentica può derivare da un rapporto tra norme in cui la norma interpretante si fonda con quella interpretata, dando luogo ad un «precetto normativo unitario» (Corte costituzionale, n. 132 del 2008).
Quindi più di qualche spazio per attribuire alla novella valenza di norma interpretativa c’è, anche considerando che, per costante giurisprudenza della stessa Corte costituzionale, l’aderenza della norma interpretante con quella interpretata va vista nell’ottica del principio della ragionevolezza. E, indubbiamente, nel caso della norma della legge di Bilancio 2018 vi è più di qualche ragione, sotto il profilo della ragionevolezza, per cogliere quel chiaro nesso logico-funzionale con la disposizione interpretata (articolo 20 del Dpr 131/1986), la quale ha sin dalla sua origine fatto riferimento agli effetti giuridici degli atti portati alla registrazione: è stata l’infelice involuzione interpretativa della Cassazione che ne ha chiaramente tradito la ratio.
Qualora la tesi della norma interpretativa non fosse ritenuta soddisfacente, è chiaro che le modifiche apportate all’articolo 20 (e all’articolo 53-bis) del Testo unico del registro troverebbero applicazione per gli atti portati alla registrazione dal 1° gennaio 2018, anche se “formati” precedentemente, posta la natura di imposta d’atto dell’imposta di registro.
Sotto un profilo ulteriore, occorre considerare se le modifiche possono operare anche per gli atti impositivi notificati sempre a far data dal 1° gennaio scorso. Questo non tanto per una presunta e fuorviante valenza procedimentale della norma, che porta – in termini generali – a non valorizzare il principio del legittimo affidamento e a non considerare il fatto che vi sono norme procedimentali che incidono su aspetti sostanziali dell’obbligazione, come quelle sulle prove. Invece, occorre valorizzare il principio del tempus regit actum (peraltro ritenuto applicabile proprio quando venne introdotta la normativa sull’abuso del diritto, oggi richiamata dall’imposta di registro).
Così, se è vero che le nuove disposizioni valgono certamente per gli atti portati alla registrazione dal 1° gennaio 2018, il principio del tempus regit actum porta a ritenere senz’altro applicabili le nuove disposizioni dell’articolo 20 (almeno) per gli atti impositivi notificati dal 1° gennaio 2018 e relativi agli atti portati alla registrazione anteriormente a tale data.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Dario Deotto
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