20/04/2020
Ora il fisco deve tassare i redditi reali
Non sarà più come prima. Questo, oramai, appare certo. Anche la fiscalità non potrà essere quella di prima. Se, infatti, il sistema economico precedente poteva in qualche modo sopportare (probabilmente anche per il “controbilanciamento” di taluni fenomeni di evasione) una tassazione fiscale per molti versi iniqua e per altri obsoleta, è evidente che un'economia che dovrà ripartire deve ripensare a nuovi modelli di imposizione reddituale per le attività economiche.
Il saldo 2019
Il fatto è che, già a breve, si paleseranno fenomeni di notevole precarietà in relazione al saldo delle imposte dovute per il 2019. In un’economia ciclica e continuativa (nonostante le sue “naturali oscillazioni”) la determinazione del reddito d’impresa sulla base del principio di competenza economica è un indice ragionevole di capacità contributiva, ma risulta in chiara difficoltà in tempi di crisi. In sostanza, le manifestazioni economiche di ricchezza realizzatesi nel 2019 sulla base del principio della competenza temporale in molti casi non avranno una conseguente manifestazione finanziaria.
Detto in termini ancora più semplici, il reddito conseguito nel 2019 sulla base del principio di competenza, ad esempio da una Snc, deve essere attribuito per trasparenza ai soci, indipendentemente dal fatto che questi ultimi lo abbiano materialmente incassato. Così che questi dovranno quest’anno pagare le imposte a saldo del 2019 senza avere, magari, percepito alcunché e senza mai, nemmeno in futuro, forse, percepire nulla. In definitiva, i soci dell’esempio dovranno versare le imposte – probabilmente indebitandosi o attingendo dal proprio patrimonio personale (se c’è) – su una ricchezza non effettiva. Senza contare il problema dei contributi previdenziali: anche gli elevati versamenti alla gestione Ivs degli artigiani e commercianti devono essere calcolati su un reddito non percepito.
È soltanto uno dei tanti esempi che si potrebbero fare, che fotografa la precarietà impositiva che si viene a determinare quando una situazione economica più o meno ciclica viene messa in crisi da quella che il Fondo monetario internazionale definisce una recessione drammatica.
Il principio di cassa
Occorre a questo punto riflettere sul fatto che in periodi di crisi il presidio di capacità contributiva può essere meglio assicurato dal principio di cassa. Tale principio ha certamente una migliore attitudine a ricondurre il tributo ad una capacità contributiva effettiva, di modo che il contribuente possa far corrispondere l’imposizione con le effettive risorse a disposizione. Il contribuente non sarebbe costretto, insomma, a indebitarsi per pagare le imposte.
È chiaro che in un’ottica internazionale dei redditi societari – per i quali si guarda da tempo, comunque, ad una Cash Flow Tax – l’adozione del principio di cassa dovrebbe riguardare solo le società di persone e le piccole Srl “trasparenti” (oltre le ditte individuali). Si dirà: c’è già per le società di persone e le ditte individuali la possibilità di utilizzare il regime misto cassa/competenza (fino ad una soglia di ricavi di 400mila euro per chi effettua prestazioni di servizi o di 700mila per le altre attività). Appunto, è proprio questo il problema: quel regime è un mostro di complicazione ed è tutto fuori che un regime di tassazione per cassa effettiva. Il quale va depurato da qualsiasi posta valutativa e agganciato solo a “fatti scientifici”, cioè a fatti semplici, singoli, analitici e incontrovertibili. Potrebbe, al limite, essere mantenuta la rilevanza di ammortamenti e plus-minusvalenze, ma niente di più.
Tutte queste considerazioni potrebbero valere solamente dall’anno 2020, ma sulla base di queste premesse i contribuenti sarebbero in qualche modo predisposti – nonostante la crisi – a pagare quest’anno le imposte su redditi non percepiti (nel 2019). Altrimenti, la situazione per le casse erariali risulterà davvero precaria.
Ulteriormente, vanno fatte delle considerazioni su quelli che si possono definire gli “estrogeni tributari”. Si tratta di tutte quelle variazioni fiscali che rendono il risultato fiscale qualcosa che davvero fa a fatica a conciliarsi con l’effettività dell’imposizione.
Società di comodo e Isa
Si prenda il caso delle società di comodo, che nel tempo si è trasformato in un’irrazionale forma di tassazione (quasi di tipo pseudo-patrimoniale) per le società che non riescono a superare il famoso test di operatività. Il fatto è che quest’ultimo si fonda su coefficienti che già prima dell’emergenza di questo periodo risultavano fuori mercato.
Per questo lascia perplessi il fatto che, addirittura, sia stato bocciato l’emendamento per una disapplicazione generale per il 2020: il problema si pone già, chiaramente, con riferimento all’anno d’imposta 2019 da dichiarare quest’anno. È difficile pensare che qualche società si adegui al reddito minimo (ovviamente non percepito) per il 2019.
Così come, al netto delle tante considerazioni che si potrebbero fare sugli Isa, davvero qualcuno pensa che i contribuenti dichiareranno per il 2019 maggiori valori per migliorare il proprio profilo di affidabilità?
In chiave prospettica, poi, andrebbe considerato che le tante presunzioni legali presenti nell’ordinamento (la disciplina delle società di comodo è una di queste) non hanno più senso. Le presunzioni legali sono state introdotte per rimediare al deficit conoscitivo dell’amministrazione. Ora però non hanno più giustificazione, vista la notevole mole di dati di cui dispone l’agenzia delle Entrate.
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Dario Deotto