15/09/2017
Più certezza del diritto su imposta di registro e cessione di quote
Più certezza del diritto su imposta di registro e cessione di quote
Il primo pensiero che viene in mente riguardo ad ipotetici interventi da effettuare in materia tributaria, prima dell’epilogo di questa legislatura, è quello di prevedere un paio di misure in termini di adempimenti e di inasprimento di tassazione (tipo qualche nuova limitazione alla deduzione degli interessi passivi) che facciano definitivamente “annientare” il sistema. Risulterebbe davvero una sorta di “lancia del Pelide”: ideare delle misure che portino davvero alla convinzione che il sistema è “imploso”, al fine di ricostituirlo davvero.
Poiché, tuttavia, si ha la sensazione che l’incertezza del diritto e la mole di adempimenti facciano comodo a molti - e quindi, nemmeno con le prossime legislature, potrà mutare granché lo scenario – si prova a indicare due/tre interventi, praticamente “a costo zero”, che potrebbero dare un minimo di credibilità (la credibilità del sistema non può che essere la “fonte” primaria di contrasto all’evasione), se non altro alle misure attuate negli ultimi tempi.
La prima riguarda il regime (presunto) di “cassa” per le imprese minori. Se l’intenzione era davvero quella di avvicinare, per questi soggetti, la determinazione del reddito d’impresa a un criterio di cassa (ricavi percepiti meno spese effettivamente sostenute), si può realmente pensare di eliminare (dall’articolo 66 del Tuir) ogni riferimento alle poste che rilevano per competenza, lasciando che si determinino con quest’ultimo criterio esclusivamente quote di ammortamento (canoni di leasing), plusvalenze e minusvalenze. Si è dimostrato infatti su queste pagine (si veda Il Sole 24 Ore del 19 maggio scorso) che anche il metodo della cosiddetta “registrazione Iva” (articolo 18, comma 5, del Dpr 600/1973) non risulta immune da quell’autentico ginepraio dato da poste che rilevano per cassa e poste (in molti casi, più numerose) che si determinano per competenza.
Poi vi è la questione della nuova Iri (imposta sul reddito d’impresa), la quale presenta alcuni aspetti indubbiamente interessanti. Uno di questi risulta la tassazione definitiva a tassazione separata del 24% delle cosiddette riprese fiscali. Andrebbero tuttavia effettuati taluni interventi di mero coordinamento, in particolare in relazione ai prelievi dei soci e dell’imprenditore (se devono essere considerati “per cassa” con riguardo allo stesso periodo in cui vengono eseguiti e che fine fanno eventuali prelievi superiori all’utile), così come deve essere definita (con una norma di legge) la questione dell’accertamento dei maggiori componenti positivi.
Proprio in tema di accertamento tributario, in relazione a vicende di più ampio respiro, basterebbe, a ben vedere, un intervento molto semplice, considerato che, da quanto consta, anche in seno all’amministrazione finanziaria sono in molti che non condividono affatto la “deriva” giurisprudenziale della Cassazione in relazione alla nota vicenda delle riqualificazioni di tutta una serie di operazioni ai fini dell’imposta di registro (da una “banale” cessione di quote totalitaria riqualificata in cessione d’azienda alla scissione o al conferimento con successivo trasferimento delle partecipazioni riqualificati sempre cessione d’azienda). Deriva, peraltro, che sta bloccando tutta una serie di operazioni societarie.
Basterebbe stabilire con norma interpretativa che il principio del legittimo risparmio d’imposta (che prevede la possibilità di scegliere più forme giuridiche per raggiungere un dato risultato economico), stabilito dall’articolo 10-bis, comma 4, dello Statuto del contribuente, vale anche per il registro.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Dario Deotto
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