10/06/2019
Presunzioni legali, la giungla delle «prove» a favore del Fisco
 
La questione della ripartizione dell’onere della prova nel diritto tributario sembra tornata d’attualità anche nel dibattito politico. Il tema è soggetto da tempo a numerosissime “deviazioni”. Molte volte, infatti, viene impropriamente attribuito al contribuente un onere di prova quando, invece, tale onere graverebbe sull’Agenzia.
Occorre partire dal fatto che la presunzione di legittimità degli atti emessi dall’amministrazione finanziaria è stata abbandonata nel tempo in seguito a una serie di pronunce della Cassazione (la prima – storica – è la 2990/1979). In pratica, in passato l’atto del Fisco veniva considerato “legittimo per principio”, così che si sosteneva che l’onere di dimostrarne l’illegittimità o l’infondatezza gravasse sempre e comunque sul contribuente. Tale indirizzo, tuttavia, ormai risulta definitivamente tramontato, e a nulla vale la circostanza che – in mancanza di impugnazione – l’atto impositivo sia idoneo ad assumere i caratteri della definitività.
Così che oggi non dovrebbe più dubitarsi che – anche nel rapporto tributario – valga la regola dell’onere della prova dettata dall’articolo 2697 del Codice civile, in base al quale «chi vuol fare valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento». Questo significa, quanto alle vicende tributarie, che l’amministrazione finanziaria, vantando un credito nei confronti del contribuente, è tenuta a fornire la prova dei fatti costitutivi della propria pretesa. In sostanza, affermando, con l’emanazione dell’atto di accertamento, l’esistenza dell’obbligazione tributaria, l’amministrazione assume la posizione di creditore nei confronti del contribuente, con la conseguenza che riveste in sede giudiziale il ruolo di attore in senso sostanziale sul quale grava l’onere di provare la fondatezza della propria pretesa.
Ovviamente, sempre in applicazione della regola contenuta nell’articolo 2697 del Codice civile, spetta al contribuente la prova del fatto costitutivo nelle liti di rimborso.
Peraltro, come sostenuto da illustre dottrina (Allorio), la presenza di talune presunzioni legali nell’ordinamento tributario – che, come eccezione, invertono l’ordinaria regola dell’incombenza dell’onere probatorio, addossandolo sul contribuente – non fa altro che confermare indirettamente il principio che l’onere di prova grava, come regola, sugli uffici dell’amministrazione.
Il fatto è che sulle vicende legate alle presunzioni legali si annidano molte nubi. Va ricordato che le presunzioni legali si suddividono tra assolute e relative. Quelle assolute non danno possibilità di fornire la prova contraria e, in linea di principio, risulterebbero contrarie ai precetti costituzionali in quanto lesive del diritto di difesa poiché impeditive di provare la capacità contributiva. Tuttavia, nell’ordinamento tributario si rinvengono talune presunzioni assolute (ad esempio, quella relativa ai prelievi delle valute estere considerate cessioni a titolo oneroso ai sensi dell’articolo 67 del Tuir) oppure altre vengono considerate tali – come quella della residenza delle persone fisiche nel territorio dello Stato – dal monolitico orientamento della Cassazione. Senza contare che esistono nell’ordinamento tutta una serie di predeterminazioni legali, tipo quella legate agli autoveicoli di cui all’articolo 164 del Tuir, che impediscono di fatto di provare l’effettiva capacità contributiva in relazione ai beni/servizi effettivamente impiegati nell’attività economica.
A tutto questo si sommano veri e propri fraintendimenti come quello delle indagini finanziarie, dove la norma (articolo 32 del Dpr 600/1973) fissa semplicemente l’acquisizione di dati fiscalmente rilevanti da canalizzare, eventualmente, in un atto di accertamento vero e proprio. Il fatto è che la giurisprudenza costante della Cassazione ha ritenuto che la norma fissi delle presunzioni legali, con prova contraria addossata sul contribuente. Da qui il grossolano “mito” degli “accertamenti bancari” quando, invece, la norma stabilisce soltanto, nell’ordinaria dialettica dell’attività istruttoria, la possibilità di dare dimostrazione (non prova) dell’effettiva consistenza dei dati acquisiti dall’Agenzia. Il “quadro” dell’onere della prova ha – davvero – bisogno di una “rinfrescata”.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Dario Deotto
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