08/07/2017
Redditometro mirato ma ormai solo marginale
UNA LUNGA PREPARAZIONE CHE PORTA POCHI RISULTATI
Redditometro mirato ma ormai solo marginale
Si fa presto a dire lotta all’evasione. Si possono inventare strumenti e comunicazioni di ogni tipo - che, comunque, occorre saper usare - ma poi, in fondo, l’unica ricetta credibile è proprio quella della “credibilità”. Un sistema, le leggi, la loro applicazione, devono essere credibili: questa è la prima soluzione per contrastare l’evasione.
Il caso del redditometro è paradigmatico. Dopo anni in cui lo strumento veniva utilizzato con dati e calcoli desueti, che portavano a risultati completamente illogici, nel 2010 (decreto legge 78) venne deciso di cambiare rotta e di basare l’accertamento redditometrico sulla spesa effettiva sostenuta dal contribuente.
Si trattava di un principio più che ragionevole: se un contribuente ha speso, vuol dire che prima ha guadagnato (o che si è finanziato per sostenere la spesa, oppure che ha ricevuto delle liberalità). Talune “particolarità” (ad esempio, che taluni redditi – come quelli d’impresa – non individuano, causa tutta una serie di “estrogeni tributari”, la reale capacità di spesa del soggetto) avrebbero potuto essere “smussate” attraverso il contraddittorio, che veniva (viene) previsto addirittura doppio. Poi si sa come vanno le cose: quando il piatto si fa ricco, molte volte si perde il lume della ragione(volezza).
Vennero, quindi, previste comunicazioni di ogni tipo per “alimentare” i dati in possesso del fisco (i primi “spesometri”, l’ambigua comunicazione dei beni utilizzati dai soci) ma, soprattutto, molte spese vennero di fatto “gonfiate” con il valore della spesa media Istat. Su quest’ultima intervenne il Garante della Privacy (siamo nel 2013) il quale sostanzialmente le bocciò. Così, dopo Telefisco 2014, anche l’agenzia delle Entrate dovette riconoscere l’inapplicabilità delle spese medie Istat, limitandole a due/tre tipologie (manutenzione ordinaria, acqua e condominio, pezzi di ricambio, carburanti e manutenzione degli autoveicoli).
Così che il redditometro, “depurato” dai valori Istat e fondato sostanzialmente sulla spesa effettiva sostenuta dal contribuente, poteva ritenersi senz’altro uno strumento credibile di contrasto all’evasione, considerando anche le innumerevoli banche dati in possesso dell’amministrazione finanziaria. Sarebbe bastato cliccare uno o due tasti: potevano emergere una serie di incongruità tra spese e reddito dichiarato; poi, una volta analizzate e avvalorate (queste incongruità), si sarebbe potuto convocare il contribuente. Se le cose ancora non quadravano, si sarebbe potuto svolgere il contraddittorio vero e proprio, con la prima “delicatezza” (nei pochi casi di redditometro segnalati, non sempre utilizzata dall’Agenzia) di considerare che una spesa per incrementi patrimoniali (tipo un’abitazione, un’autovettura) doveva necessariamente essere “spalmata” in più anni, essendo evidente che queste spese non potevano che provenire (tranne i casi di liberalità) da una ricchezza stratificata nel tempo. In questo modo, si avrebbe avuto un utilizzo rispettoso dei diritti dei contribuenti, al di là dei primi timori.
Forse tutto terribilmente troppo facile e troppo “credibile”. La storia ricorda quella degli studi di settore: fin tanto che risultavano “drogati” da una serie di irrazionalità (tipo che si trattava di una presunzione legale) venivano utilizzati, quando poi sono stati ricondotti a quel che effettivamente sono (indice presuntivo che deve essere corroborato da altri elementi per sostenere la rettifica) sono stati di fatto abbandonati. Così ora è il turno del redditometro, che, come è stato riportato su Il Sole 24 Ore di ieri, risulta sostanzialmente “dismesso”.
È come se si volesse confermare che a questo fisco servono solo strumenti improbabili e inattendibili.
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Dario Deotto