29/07/2019
Sulla retroattività del diritto di detrazione dell’Iva erroneamente fatturata, coinvolte anche le cessioni esenti e le operazioni non imponibili

La previsione del decreto crescita sulla retroattività del diritto di detrazione dell’Iva erroneamente fatturata per operazioni ante 2018 e della conseguente applicazione della sanzione fissa è opportuna ma non strettamente necessaria sulla base dei principi generali, ove correttamente applicati. Ciò che, invece, sarebbe doveroso è un intervento chiarificatore (auspicabilmente normativo, per evitare interpretazioni difformi) sull’ambito “oggettivo” della disposizione di cui all’articolo 6, comma 6, del Dlgs 471/97.
Tale norma, in effetti, si riferisce alle operazioni per le quali sia stata applicata l’imposta «in misura superiore a quella effettiva» (collegando la detrazione all’assolvimento del tributo da parte dell’emittente della fattura ed escludendola in presenza di un contesto di frode). In base al dato letterale, potrebbe intendersi che la portata della disposizione sia limitata alle sole situazioni in cui sia addebitata un’imposta con aliquota superiore a quella effettiva. La nozione di «misura» dell’imposta, sempre stando all’interpretazione letterale, non esclude tuttavia che rientrino nella previsione di legge anche le situazioni in cui è applicato il tributo – in una misura qualsiasi – per un’operazione che è invece priva d’imposta. Questo accade per le operazioni non imponibili, ma anche per le cessioni/prestazioni esenti (e fermo restando che l’emissione di una fattura con Iva per un’operazione esente può determinare distorsioni dell’eventuale pro-rata di detrazione in capo all’emittente del documento).
Tale impostazione è condivisa dalla Guardia di finanza (circolare 114153/2018) che si premura d’indicare anche alcune fattispecie alle quali la norma non è applicabile: per esempio, la fatturazione con Iva per un’operazione in reverse charge, già disciplinata da una norma ad hoc.
Più complessa è la risposta alla domanda se la detrazione spetti anche per l’imposta applicata per un’operazione fuori campo Iva per carenza di uno dei presupposti, come una cessione di una pluralità di beni erroneamente fatturata con Iva trattandosi di una cessione d’azienda. La lettura della norma porterebbe a escludere una simile latitudine della disposizione. Per sostenere una posizione diversa e andando oltre il dato letterale, occorrerebbe infatti valorizzare il fatto che, con il riconoscimento della detrazione dell’Iva malamente applicata, altro non si farebbe se non abbreviare i tempi della restituzione del tributo. Chi subisce la rivalsa dell’Iva non dovuta, infatti, dovrebbe farsela restituire dall’emittente (che non abbia già azionato, ove possibile, il meccanismo della nota di variazione), il quale dovrebbe poi chiederne il rimborso all’Erario. Ed ecco il legame con l’altra disposizione controversa. Al di fuori dell’ipotesi in cui l’indebito sia accertato dal Fisco – ipotesi regolata nel comma 2 dell’articolo 30-ter, Dpr 633/72 – il comma 1 della norma riferisce che il «soggetto passivo» può presentare la domanda di restituzione dell’imposta non dovuta nei termini ivi previsti. E siccome il soggetto passivo può essere sia il cedente/prestatore sia il cessionario/committente, in mancanza di indicazioni contrarie, se ne deduce che il rimborso può essere chiesto direttamente dal destinatario della fattura errata, purché sia soggetto passivo d’imposta. Se non arriverà un’interpretazione “generosa”
della norma dell’articolo 6, comma 6, il recupero del tributo indebitamente applicato per un’operazione fuori campo Iva passa di qui.
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Dario Deotto
Massimo Sirri