Linea guida N.16
Le conseguenze fiscali della trasformazione da associazione professionale (o da società semplice) in Stp o Sta
Massima

Non si realizza alcuna ipotesi di tassazione nel caso di “trasformazione” di un’associazione professionale in STP o STA. Si verifica quindi anche per tale “trasformazione” il medesimo regime di neutralità stabilito dall’articolo 170 del Tuir (e indirettamente dal successivo articolo 171) quando i beni, i crediti, le attività in genere permangono, dopo la trasformazione, nella sfera commerciale dell’impresa. In conseguenza della trasformazione di un’associazione professionale o, comunque, di una società semplice svolgente un’attività professionale in Stp o Sta non si configura, infatti, alcuna ipotesi di realizzo o di destinazione dei beni e delle attività ad una finalità diversa da quella economica svolta. Né, men che meno, si realizza alcun “conferimento” (l’associazione professionale o la società semplice che si trasformano non ricevono alcuna quota o azione dalla società risultante dalla trasformazione), come, invece, ipotizzato dall’Agenzia delle Entrate.  Quella del “conferimento” è una finzione tributaria che si configura solamente se ricorrono le condizioni previste per la realizzazione di un reddito diverso ai sensi dell’articolo 67 del Tuir.

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Le crescenti competenze e specializzazioni richieste dal mercato, oltreché la sempre più penetrante disintermediazione, portano necessariamente i professionisti ad aggregarsi in studi multidisciplinari, con organizzazioni che si avvicinano molto – o che dovranno avvicinarsi - al mondo imprenditoriale. In questo contesto, peraltro, si registra l’introduzione nell’ordinamento delle società tra professionisti (STP)[1] e della Società tra avvocati (STA)[2], che certamente possono risultare un possibile punto di approdo delle aggregazioni professionali.  Occorre rilevare che, per quanto concerne le imprese, le operazioni di riorganizzazione aziendale – fusioni, scissioni, conferimenti, trasformazioni – sono agevolate sotto il profilo tributario, visto che risultano caratterizzate da un regime di neutralità fiscale. Nelle norme che disciplinano il reddito di lavoro autonomo (il quale avrebbe necessità di un profondo restyling) non si rinvengono, invece, tali agevolazioni. Tuttavia, anche constatando che nel tempo vi è stato un progressivo avvicinamento delle regole del reddito di lavoro autonomo a quello d’impresa, è evidente che il regime di neutralità fiscale deve essere garantito anche alle aggregazioni degli studi professionali.
Si consideri, ad esempio, il caso della trasformazione da studio associato a Stp, oggetto della risposta all’interpello n. 107/2018 delle Entrate. L’Agenzia, non rinvenendo alcuna disposizione che sancisca la neutralità di tale operazione, ha ritenuto applicabile il comma 2 dell’art. 171 del Tuir, il quale disciplina la cosiddetta “trasformazione eterogena” da ente non commerciale a società soggetta all’Ires. Tale trasformazione viene considerata ipotesi realizzativa quale conferimento. Così, parimenti, nella risposta n. 107/2018, la “conversione” dell’associazione professionale in Stp è stata considerata conferimento, comportandone la tassazione in base agli articoli 9 e 54 del Tuir. Occorre tuttavia rilevare che tali approdi della prassi dell’Amministrazione non risultano affatto convincenti.
Nelle pagine che seguono viene quindi esaminato il trattamento tributario della “trasformazione” da associazione professionale (o da società semplice, svolgente attività di lavoro autonomo) in STP o STA.
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Ai fini delle imposte sui redditi, la disciplina delle operazioni di trasformazione è contenuta negli articoli 170 e 171 del TUIR. In particolare, l'articolo 170 si occupa dei casi di trasformazione societaria omogenea, mentre l’articolo 171 disciplina l’istituto della trasformazione eterogenea.
La previsione dell’articolo 170 Tuir, rubricata “Trasformazione della società”, stabilisce, al comma 1, che “la trasformazione della società non costituisce realizzo né distribuzione delle plusvalenze e minusvalenze dei beni comprese quelle relative alle rimanenze e il valore di avviamento”. In sostanza, la previsione normativa statuisce che la trasformazione societaria (di una società soggetta all’Ires in società non soggetta a tale imposta, e viceversa) risulta operazione fiscalmente neutrale dal punto di vista dell’imposizione diretta, a patto che la stessa avvenga tra “società”. A tal fine la questione che si pone è se la previsione in argomento possa trovare applicazione anche nel caso di trasformazione di società semplice (o, comunque di associazione professionale) in società commerciale, così come (evidentemente) nell’ipotesi in cui una società commerciale si trasformi in una società semplice.
Al riguardo, si riporta sin da subito che si è dell’avviso che il principio di neutralità fiscale sancito dall’articolo 170 del Tuir riguardi esclusivamente società che (già) svolgono attività commerciali e che mantengono la propria natura “commerciale” anche in seguito all’operazione di trasformazione. Valga per tutti il fatto che il legislatore tributario ha previsto più volte, nel tempo, varie disposizioni volte ad agevolare la trasformazione in società semplice di società commerciali aventi ad oggetto esclusivo o principale la gestione di determinati beni oppure (la trasformazione sempre in società semplice) di società commerciali aventi precise caratteristiche oggettive (le società non operative di cui all’articolo 30 della L. 724/1994)[3]. Dette modalità di trasformazione hanno sempre comportato l’emersione di materia imponibile, ancorché assoggettata ad imposizione sostitutiva di favore: con la conseguenza che la previsione della rilevanza impositiva di dette trasformazioni non può, evidentemente, conciliarsi con il principio di neutralità fiscale stabilito dall’articolo 170 del Tuir.
Peraltro, si osserva che la stessa disposizione dell’articolo 170, nel prevedere, al primo comma, che “la trasformazione della società non costituisce realizzo né distribuzione delle plusvalenze e minusvalenze dei beni, comprese quelle relative alle rimanenze e il valore di avviamento” richiama chiaramente componenti reddituali che risultano propri del reddito d’impresa, per cui non vi può essere dubbio alcuno che la previsione in argomento risulti rivolta alle società commerciali “titolari” di un reddito d’impresa, con esclusione a priori, quindi, delle società semplici.
Tali conclusioni risultano peraltro avvalorate da una pronuncia abbastanza recente della Corte di Cassazione, la quale, con sentenza n. 30228 del 22/11/2018, ha stabilito che la trasformazione di una società commerciale in società semplice non risulta regolata dalla previsione di neutralità stabilita dell’articolo 170 Tuir (articolo 122 Tuir, all’epoca dei fatti), generandosi, invece, emersione di materia imponibile in conseguenza della fuoriuscita dei beni afferenti la sfera d’impresa. Secondo la Corte di Cassazione, nell’ipotesi di trasformazione di una società commerciale in una società semplice, si realizzerebbe la destinazione a finalità estranee dei beni all’esercizio dell’impresa (fattispecie che risulta imponibile in base all’articolo 86, primo comma, lettera c), e all’articolo 58, comma 3, del Tuir).
Il fatto che la trasformazione di società commerciali in società semplice (e viceversa) non risulti contemplata dalla previsione dell’articolo 170 del Tuir è stato avvalorato anche da taluni documenti di prassi, tra i quali si citano: circolare min. Finanze 15 maggio 1997, n. 137/E, risposta 15.3; nota DRE Emilia Romagna 21/6/1996, n. 28409; nota DRE Piemonte 20/7/2007, n. 46754.
In definitiva, si è dell’avviso, conformemente alla giurisprudenza di legittimità e alla prassi dell’Amministrazione finanziaria, che la previsione dell’articolo 170 Tuir, pur riferendosi alla “trasformazione di società” in termini generali, disciplini in concreto gli effetti fiscali delle sole trasformazioni di società commerciali in altre società commerciali del medesimo tipo giuridico o di tipo giuridico diverso, così da escludervi la trasformazione di società semplice (e, quindi, anche di un’associazione professionale) in società commerciale (e viceversa).
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L'articolo 171 del Tuir disciplina, invece, l'istituto della trasformazione eterogenea, in cui si verifica un mutamento della natura del soggetto sottoposto a trasformazione, posto che si realizza una sorta di “passaggio” da una sfera commerciale dell’ente ad una (sfera) non commerciale e viceversa. In particolare, nel comma 1 dell’articolo 171 viene disciplinata la trasformazione eterogenea, effettuata ai sensi dell’art. 2500-septies cod. civ., di una società soggetta ad Ires in ente non commerciale. In tal caso si prevede il realizzo al valore normale dei beni della società in quanto la trasformazione comporta la destinazione dei beni aziendali a finalità estranee all’esercizio dell’impresa. Tutto ciò non si verifica, evidentemente, come risulta stabilito espressamente dalla medesima previsione dell’art. 171, quando gli stessi beni societari confluiscono, per effetto della suddetta trasformazione, nell’eventuale attività d’impresa svolta in via marginale dal soggetto non commerciale (per questi beni risulta indirettamente applicato il regime di neutralità di cui all’art. 170 del Tuir).
Va notato ulteriormente che la previsione in argomento risulta “nominalmente” più circoscritta di quella accolta in ambito civilistico. L’articolo 171, comma 1, contempla infatti la trasformazione eterogenea esclusivamente laddove una società soggetta ad Ires si trasformi in “ente non commerciale”[4]. Parimenti, anche il comma 2 del medesimo articolo 171, disciplinante la trasformazione eterogenea progressiva effettuata ai sensi dell’articolo 2500-octies del cod. civ., viene circoscritto alla trasformazione di un ente non commerciale in società di capitali.
Con la conseguenza che, ad esempio, dal punto di vista fiscale non costituiscono ipotesi di trasformazione eterogenea i casi di trasformazione di società di capitali in società cooperative e viceversa – contemplate invece dagli articoli 2500-septies e 2500-octies – posto che le società cooperative vengono equiparate, ai fini delle imposte sui redditi, alle società di capitali. Non si realizza, in questa ipotesi, evidentemente, alcun “passaggio” ai fini reddituali dei beni da una sfera commerciale a quella non commerciale (o viceversa).
A tal fine va rilevato che anche per la trasformazione eterogenea progressiva disciplinata dal comma 2 viene sancito che l’emersione di materia imponibile (reddituale) si realizza per i soli beni diversi da quelli già destinati dall’ente, prima della trasformazione, all’attività commerciale svolta in via marginale. In sostanza, anche per la trasformazione eterogenea progressiva viene indirettamente mantenuto il regime di neutralità per i beni che già prima della trasformazione in società di capitali venivano utilizzati nell’ambito dell’attività commerciale (marginale) dell’ente.
Va sottolineato che la previsione del comma 2 dell’articolo 171 stabilisce una sorta di “finzione tributaria” per i beni impiegati nell’ambito dell’attività istituzionale dell’ente che confluiscono, per effetto della trasformazione, in una società di capitali. Tale “immissione” viene qualificata, infatti, “conferimento” esclusivamente (si noti) per questi ultimi beni e non anche per quelli già impiegati nell’eventuale attività commerciale marginale dell’ente. Va quindi rilevato che la configurazione di “conferimento” si ha solamente sul piano tributario (peraltro solo per taluni beni, come si è rilevato) non realizzandosi, evidentemente, sotto il profilo giuridico alcun conferimento societario, atteso che lo stesso ente trasformando non riceve alcuna quota o azione della società risultante dalla trasformazione (chi riceve le quote o azioni risulta, semmai, il socio o associato dell’ente).
Tutto quanto sopra risulta confermato dalla relazione illustrativa al decreto di riforma Ires (Dlgs 344/2003), la quale riporta che per “la trasformazione eterogenea, si potranno avere le seguenti situazioni: a) trasformazione da società di capitali ad altro soggetto commerciale (ad esempio, società cooperative); b) trasformazione da società di capitali a soggetto non commerciale (ad esempio, fondazione); c) trasformazione da soggetto non commerciale a società di capitali. In base al disposto dell'articolo 171, nel caso sub a), la trasformazione è attuata in regime di neutralità; nel caso sub b), l'operazione comporta il realizzo al valore normale dei beni della società (salvo che non confluiscano nell'attività di impresa del soggetto non commerciale). Si tratta, in tale ultimo caso, di operazione che comporta l'imponibilità dei maggiori valori dei beni in testa all'ente trasformato non svolgente attività di impresa, maggior valore giustificato dalla destinazione dell'azienda a finalità estranee all'esercizio di impresa. […] Con riguardo al caso sub c), la nuova disposizione considera espressamente l'operazione alla stregua di un conferimento sul presupposto che il passaggio dei beni dall'ente non commerciale alla società di capitali costituisce, sempre ai fini fiscali, ipotesi di realizzo. Ai beni dell'ente non commerciale immessi nella società va perciò attribuito il valore normale e non il costo storico, con la conseguenza che le relative plusvalenze sono imponibili in base, appunto, al valore normale; questo valore è poi assunto come costo fiscalmente riconosciuto della società.”
In pratica, da quanto sopra, si ricava che la previsione dell’articolo 171 del Tuir fissa sostanzialmente il principio che, per effetto della trasformazione eterogenea da società commerciale ad un ente che non svolge attività commerciale, si genera materia imponibile per i beni che fuoriescono dall’attività commerciale e che “approdano” in quella non commerciale, mentre, se i beni continuano ad essere impiegati, nonostante la trasformazione, nell’ambito dell’attività commerciale svolta marginalmente dall’ente, risulta indirettamente mutuato il regime di neutralità stabilito dall’articolo 170 Tuir. Parimenti, nell’ipotesi di trasformazione eterogenea di un ente non commerciale in società di capitali, il regime di neutralità dell’articolo 170 viene indirettamente conservato per i beni già destinati dall’ente, prima della trasformazione, all’attività commerciale esercitata in via marginale, mentre per gli altri beni si determina la qualificazione tributaria della trasformazione in conferimento, con la conseguenza che le plusvalenze latenti degli stessi beni si considerano realizzate per l’ente al valore normale (quali redditi diversi, si veda più oltre), così che, per ragioni di simmetria impositiva, in capo alla società risultante dalla trasformazione i beni plusvalenti, avendo scontato l’imposta all’atto della trasformazione (rectius, conferimento sotto il profilo fiscale), assumono un valore fiscalmente riconosciuto pari al medesimo valore normale.
Poiché l’articolo 171 fissa sostanzialmente la regola oggettiva sopra riportata, si è dell’avviso che, come affermato da alcuni documenti di prassi, tale regola possa trovare applicazione indipendentemente dalla qualificazione giuridica dei soggetti coinvolti (in sostanza, la previsione dell’articolo 171 può trovare applicazione – sulla base dei medesimi presupposti – anche per soggetti diversi da quelli espressamente richiamati). Ad esempio, nella nota della DRE Piemonte n. 46754 del 20/7/2007, già in precedenza citata, si ammette l’applicazione della previsione dell’articolo 171, comma 2, del Tuir anche nell’ipotesi di trasformazione di società semplice in società di capitali. Analogamente, nella risposta ad interpello n. 107/2018, sulla quale si avrà modo di tornare, si ammette l’applicabilità del disposto dell’articolo 171, comma 2, del Tuir anche nell’ipotesi di trasformazione di un’associazione professionale in (Stp) società in accomandita semplice.
In definitiva, costituendo la previsione dell’articolo 171 del Tuir, la “tipizzazione” di un principio di base secondo cui la fuoriuscita dei beni dal circuito dell’impresa collettiva e la confluenza degli stessi in un ente non svolgente attività commerciale determina, parimenti all’immissione dei beni nel circuito commerciale da parte di un ente che non svolge attività commerciale, un evento impositivo (sotto il profilo reddituale), si è dell’avviso che tale principio possa trovare applicazione indipendentemente dalla “natura soggettiva” degli enti coinvolti, così da trovare applicazione anche nel caso di trasformazione di una società di capitali (o di persone[5]) in una società semplice ovvero nel caso di trasformazione di società semplice in società di capitali (o di persone), come anche confermato dai documenti di prassi appena richiamati.
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Constatato che il principio sottostante alla previsione dell’articolo 171 del Tuir può trovare applicazione anche nell’ipotesi di trasformazione di società semplice in società di capitali (e viceversa), vi è tuttavia un aspetto che risulta determinante ai fini della soluzione del caso oggetto del presente studio.
Occorre infatti considerare la stretta correlazione che vi è tra la previsione dell’articolo 171, comma 2, del Tuir e la disciplina dei redditi diversi. Va infatti rilevato che l’inserimento nel Tuir dell’articolo 171 è intervenuto per effetto della riforma Ires apportata con il Dlgs. 344/2003, con la quale si è provveduto contestualmente a modificare la disciplina dei redditi diversi di cui all’articolo 67, inserendo la previsione (ora) contenuta nella lettera n) al primo comma, in base alla quale costituiscono redditi diversi “le plusvalenze realizzate a seguito di trasformazione eterogenea di cui all’articolo 171, comma 2, ove ricorrono i presupposti di tassazione di cui alle lettere precedenti”.
E’ evidente lo stretto legame che caratterizza la previsione dell’articolo 171, comma 2, del Tuir con la lettera n) dell’articolo 67 dello stesso Tuir, come messo in luce dalla relazione illustrativa allo stesso Dlgs 344/2003, nella quale viene riportato che “la qualificazione della trasformazione eterogenea come conferimento ha richiesto, altresì, di ampliare le fattispecie imponibili dell'art. 67 includendovi una nuova lettera n) che contempli le plusvalenze derivanti dall'apporto-conferimento di beni (partecipazioni, immobili, terreni, ecc.) in sede di trasformazione eterogenea; con l'avvertenza, beninteso, che la tassazione potrà avvenire solo ove ricorrano le condizioni previste dalle precedenti lettere dello stesso articolo 67”. Lo stretto collegamento tra le due previsioni (quella dell’articolo 171, comma 2, e quella dell’articolo 67, lettera n), Tuir) emerge anche dal passaggio successivo della stessa relazione illustrativa in cui viene rilevato che ”ai beni dell'ente non commerciale immessi nella società va perciò attribuito il valore normale e non il costo storico, con la conseguenza che le relative plusvalenze sono imponibili in base, appunto, al valore normale; questo valore è poi assunto come costo fiscalmente riconosciuto della società”.
In sostanza, l’ingresso, per effetto della trasformazione, dei beni dell’ente non commerciale (così come dei beni della società semplice) – non impiegati nell’eventuale attività commerciale svolta in via marginale - nel regime d’impresa viene qualificata dal punto di vista tributario per l’ente trasformando, come già rilevato, come “conferimento”. Va osservato che non viene prevista – posta la tassazione in capo all’ente - alcuna ipotesi di tassazione per i “partecipanti” dell’ente non commerciale (o per i soci della società semplice), i quali risultano i reali “destinatari” delle quote o azioni attribuite dalla società risultante dalla trasformazione. Occorre inoltre evidenziare che la tassazione come reddito diverso per l’ente avviene “ove ricorrono i presupposti di tassazione di cui alle precedenti lettere” dell’articolo 67 del Tuir. In sostanza, la tassazione risulta limitata ai “capital gain” dei soli beni o delle sole attività che rientrano nelle fattispecie impositive previste dal citato articolo 67. Ne consegue che se, ad esempio, per effetto della trasformazione vengono “trasferiti” fabbricati posseduti da oltre cinque anni (fattispecie non costituente reddito diverso né, peraltro, altra fattispecie impositiva, al di fuori della disciplina dei redditi d’impresa e di lavoro autonomo), l’operazione non comporterà in capo all’ente l’emersione di alcuna plusvalenza tassabile.
Va invece osservato che i beni dell’ente non commerciale immessi nella società, per i quali il loro “trasferimento” costituisce fattispecie imponibile in base all’articolo 67, comma 1, lettera n), del Tuir, vengono acquisiti (valorizzati) in base al valore normale, per effetto della regola generale stabilita dall’articolo 9, comma 2, secondo periodo, dello stesso Tuir, secondo la quale “in caso di conferimenti o apporti in società o in altri enti si considera corrispettivo conseguito il valore dei beni e dei crediti conferiti”. Ma va altresì considerato –come già rilevato - che detto valore normale costituisce costo fiscalmente riconosciuto per la società risultante dalla trasformazione.
Occorre però dare rilevanza – come si è già riportato - allo stretto connubio che si realizza tra la previsione dell’articolo 171, comma 2, del Tuir e quella dell’articolo 67, primo comma, lettera n). Infatti, la tassazione del “conferimento” (che, lo si ribadisce, è una “qualificazione tributaria” della trasformazione eterogenea progressiva realizzatesi sul piano giuridico, peraltro per i soli beni che, anteriormente alla trasformazione, non venivano impiegati nel “circuito commerciale” - ovviamente marginale - dell’ente/società semplice) si configura solamente se ricorrono le condizioni previste per la realizzazione di un reddito diverso ai sensi del predetto articolo 67. In sostanza, la qualificazione tributaria della trasformazione eterogenea progressiva come “conferimento” determina l’insorgere della tassazione dello stesso “conferimento” soltanto se si realizzano le condizioni di tassabilità come reddito diverso, come chiaramente dispone la relazione illustrativa del Dlgs 344/2003. Tant’è che, come già rilevato, se, per

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