07/12/2019
Abuso del diritto, il Fisco può valutare scelte economiche alternative
Proseguono i fraintendimenti giurisprudenziali in materia di abuso del diritto.
Secondo la Corte di cassazione, sentenza n. 31772/2019, depositata il 5 dicembre, il giudice di merito avrebbe dovuto valutare se l’operazione realizzata risultava elusiva «premesso che avrebbe potuto conseguirsi il medesimo risultato in forme diverse».
La questione nasce dalla presunta natura antielusiva di una serie di operazioni riorganizzative di un gruppo societario. L’ufficio contestava che il medesimo risultato avrebbe potuto essere ottenuto attraverso un diverso procedimento alternativo che, tuttavia, non avrebbe generato il risparmio d’imposta che è stato conseguito nel caso di specie, relativo all’utilizzo dell’abrogato regime dei disavanzi da fusione di cui all’articolo 6 del decreto legislativo 358/1997.
Secondo la Cassazione, «non si tratta di sindacare o comprimere i principi costituzionali di libertà d’impresa e di iniziativa economica, imponendo al contribuente una specifica misura di ristrutturazione… solo perché essa avrebbe comportato un maggior carico fiscale». Si tratta tuttavia «di evidenziare l’esistenza di possibili modalità alternative di realizzazione della medesima operazione economica, presupposto logico necessario della verifica della ragionevolezza, secondo logiche economiche e di mercato, delle forme con le quali l’operazione stessa è stata concretamente eseguita».
Il che è come dire: l’Amministrazione e il giudice hanno un potere di valutazione anche economica delle operazioni poste in essere dall’imprenditore, così che se la scelta effettuata da quest’ultimo non è ritenuta (dal Fisco e dai giudici) economicamente ragionevole, essa può essere disconosciuta per effetto delle disposizioni antielusive (la contestazione riguardava l’abrogato articolo 37-bis del Dpr 600/1973, ma la Corte di cassazione ne fa, soprattutto, una valutazione nell’ottica della norma sull’abuso del diritto).
Si torna, dunque, davvero agli albori delle vicende fiscali in materia di elusione, quando migliaia di operazioni riorganizzative, e non solo, risultavano bloccate in Italia (con buona pace anche degli investitori esteri) in quanto si dovevano dare conto di valide ragioni economiche per giustificare determinati percorsi giuridici in luogo di quelli che il Fisco considerava «paradigmatici», guarda caso coincidenti con quelli che comportavano un maggiore carico fiscale.
Si tratta del più grande fraintendimento del diritto tributario italiano: non è affatto compito del Fisco (né dei giudici) fare delle valutazioni economiche in relazione alle scelte dei contribuenti. L’effetto economico dei negozi giuridici riguarda soltanto l’economia. In materia tributaria non si rinviene alcuna previsione normativa che stabilisca – come principio generale – la rilevanza fiscale degli effetti economici dei negozi giuridici o, comunque, una sorta di supremazia della rilevanza economica sull’assetto del rapporto giuridico. Vi sono soltanto talune deroghe (come il principio di derivazione rafforzata) che confermano indirettamente che non c’è alcuna prevalenza degli effetti economici sulla forma giuridica.
Il Fisco, dunque, non può identificare presunti effetti economici ulteriori rispetto a quelli giuridici. E men che meno può sostituire una forma giuridica con un’altra sulla base di valutazioni economiche, che chissà perché portano sempre a un trattamento fiscalmente più oneroso.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Dario Deotto
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