29/11/2021
La svolta sui crediti inesistenti si riflette sui termini d’accertamento
Il credito d’imposta è inesistente se non solo è mancante uno o più degli elementi costitutivi dello stesso, ma se tale mancanza è altresì astrattamente contestabile con le procedure dei controlli automatizzati. Perciò, se la constatazione della violazione del contribuente avviene, ad esempio, in sede di accesso ma si tratta di una tipologia di illecito che, in linea di principio, potrebbe essere rilevata in sede di controlli formali (ex articolo 36-ter del Dpr 600/1973) si ricadrà nell’ipotesi di credito non spettante.
Con le sentenze 34443/4/5 del 2021, la Cassazione ha fatto finalmente chiarezza, abbandonando dichiaratamente i precedenti incentrati sulla tendenziale onnicomprensività della nozione di credito inesistente. Gli effetti di tali pronunce si ritiene non mancheranno di influenzare le prassi delle Entrate, specie sul piano sanzionatorio (per l’inesistenza la sanzione va dal 100% al 200%, mentre la non spettanza è colpita con il 30%).
L’articolo 13, comma 5, del Dlgs 471/1997 è molto chiaro nello stabilire che la nozione di credito inesistente risulta in realtà residuale rispetto a quella di credito non spettante, che deve invece rappresentare la regola. Ciò in quanto attraverso la procedura dei controlli formali l’ufficio ha il potere di rideterminare i crediti d’imposta sulla base non solo della dichiarazione ma anche dei «documenti richiesti ai contribuenti». Si tratta in effetti di una modalità di controllo sostanzialmente accertativa (così, da ultimo, Cassazione 22338/2021) che consente di intercettare la grande maggioranza dei rilievi in termini. Esulano dalla categoria della “non spettanza” tipicamente i crediti generati con documentazione falsa, in esito cioè a una attività frodatoria. D’altra parte la distinzione in esame non dipende in alcun modo dalla procedura di controllo concretamente adottata. Infatti, ciò che «è riscontrabile ai sensi dell’articolo 36-ter del Dpr 600/1973» è anche contestabile attraverso l’atto di accertamento ordinario e l’avviso di recupero.
Il Dl 157/2021 è intervento di recente sui termini decadenziali degli avvisi di recupero. Quest’ultimo risulta disciplinato dall’articolo 1, commi da 421 a 423, della legge 311/2004 in relazione alla «riscossione dei crediti indebitamenti utilizzati in tutto o in parte, anche in compensazione». Ancorché la norma sembri valorizzare una valenza più specificatamente “riscossiva” dell’atto, non vi è dubbio oggi che l’avviso abbia piena natura accertativa (ex multis, Cassazione 7436/2021). Quanto ai termini dell’avviso di recupero, va ricordato che, in base a quanto dispone l’articolo 27,comma 16, del Dl 185/2008, lo stesso deve essere notificato entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello di utilizzo del credito inesistente speso in compensazione. Ciò però riguarda soltanto tale (circoscritta) ipotesi.
Nella maggioranza dei casi, invece, cioè quando il credito risulta non spettante, il termine decadenziale dell’avviso di recupero è lo stesso dell’atto di accertamento ordinario, cioè – ora – quello del 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione. Soltanto che, anziché al momento di presentazione della dichiarazione, occorre “guardare” il momento di utilizzo del credito (Cassazione 4153/2018). Si tratta, di fatto, del medesimo termine previsto dall’articolo 3 del nuovo Dl 157/2021, in base al quale l’atto di recupero per le agevolazioni del settore edilizio (sconto in fattura e cessione del credito) e per i contributi a fondo perduto in relazione al Covid-19 deve essere notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è avvenuta la violazione. Chiaramente, quando si tratta di crediti inesistenti usati in compensazione, il termine sarà quello ottennale. [...]
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Dario Deotto
Luigi Lovecchio
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