03/06/2019
Bitcoin da riportare in RW ma resta il nodo della «chiave»
Le istruzioni alla compilazione del quadro RW di quest’anno prevedono una novità: nella tabella dei codici delle attività detenute all’estero viene specificato che occorre indicare – con il codice 14 – anche le valute virtuali. Inoltre, sempre le istruzioni riportano che nel caso delle valute virtuali il codice dello Stato estero può non essere indicato.
In sostanza, per la prima volta viene esplicitato dalle istruzioni relative al quadro RW che vanno indicate anche le valute virtuali.
Obbligo di monitoraggio
Occorre partire dal fatto che, in base a quanto dispone l’articolo 4 del Dl 167/1990, le persone fisiche (oltre agli enti non commerciali e alle società semplici) devono compilare il quadro RW del modello dichiarativo, relativo al monitoraggio fiscale, in caso di detenzione di «investimenti all’estero ovvero di attività estere di natura finanziaria suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia».
Inoltre, l’articolo 4 prevede che con provvedimento del direttore delle Entrate viene stabilito il contenuto della dichiarazione annuale prevista ai fini del monitoraggio fiscale, sempre in relazione agli investimenti all’estero e alle attività estere di natura finanziaria.
La questione che si pone, quindi, è se le valute virtuali si possono considerare «attività estere di natura finanziaria», non rientrando certamente nel concetto di «investimenti all’estero».
Già altre volte su queste pagine si è cercato di riportare l’attenzione sul fatto che oggi la dimensione digitale dell’economia richiede sempre più un nuovo diritto tributario (in realtà non solo tributario) degli “spazi”, non fondato sul vetusto binomio “residenza-territorialità”.
La questione delle valute virtuali è paradigmatica di questa necessità, non essendo ancorate a un territorio, né a quello nazionale né a quello estero. Si può dire, in termini semplicistici, ma comunque fattuali, che le criptovalute stanno nella “rete” (di fatto, nella blockchain), per la quale non esiste né un concetto di “estero” né di territorio nazionale.
Così che la loro dimensione a-territoriale non può essere assimilata, nella gran parte dei casi, a quella delle attività estere di natura finanziaria. Con la conseguenza che il provvedimento del direttore dell’agenzia delle Entrate, con il quale sono stati approvati i modelli dichiarativi, risulterebbe in contrasto con la norma primaria di riferimento (articolo 4 del Dl 167/1990). Senza contare che se soltanto da quest’anno le istruzioni al quadro RW includono le valute virtuali tra le attività da indicare nello stesso, ciò significa che in passato l’obbligo non sussisteva.
Il possesso della chiave privata
Ad ogni modo, si è dell’avviso che l’obbligo del monitoraggio fiscale non si realizza – né oggi né ieri – per le valute virtuali ogni qualvolta la persona fisica residente abbia la disponibilità della chiave privata. Tale conclusione appare in linea con l’articolo 4 del Model Tax Convention on Income and on Capital del 21 novembre 2017, il quale fissa la presunzione che il luogo di detenzione delle valute virtuali sia coincidente con lo Stato ove il contribuente risulta residente ai fini tributari.
Va inoltre considerato che le chiavi private possono anche essere gestite da terzi. In questo ultimo caso assume rilevanza la V Direttiva antiriciclaggio, la quale individua questi soggetti nei «prestatori di servizi di portafogli digitali». Si può così affermare che l’obbligo di indicazione nel quadro RW sussiste unicamente quando il contribuente si avvale di quest’ultimi, e quest’ultimi risultano soggetti non residenti.
Questa soluzione si coniuga anche con l’aspetto sanzionatorio. Le penalità relative al monitoraggio fiscale vengono infatti diversificate a secondo del luogo in cui le attività non dichiarate vengono detenute. Se le stesse risultano detenute nei Paesi black list, le sanzioni risultano raddoppiate. Il legame territoriale delle penalità ha una sua coerenza soltanto per le valute virtuali detenute attraverso i prestatori di servizi di portafogli digitali.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Dario Deotto
Stefano Capaccioli
In sostanza, per la prima volta viene esplicitato dalle istruzioni relative al quadro RW che vanno indicate anche le valute virtuali.
Obbligo di monitoraggio
Occorre partire dal fatto che, in base a quanto dispone l’articolo 4 del Dl 167/1990, le persone fisiche (oltre agli enti non commerciali e alle società semplici) devono compilare il quadro RW del modello dichiarativo, relativo al monitoraggio fiscale, in caso di detenzione di «investimenti all’estero ovvero di attività estere di natura finanziaria suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia».
Inoltre, l’articolo 4 prevede che con provvedimento del direttore delle Entrate viene stabilito il contenuto della dichiarazione annuale prevista ai fini del monitoraggio fiscale, sempre in relazione agli investimenti all’estero e alle attività estere di natura finanziaria.
La questione che si pone, quindi, è se le valute virtuali si possono considerare «attività estere di natura finanziaria», non rientrando certamente nel concetto di «investimenti all’estero».
Già altre volte su queste pagine si è cercato di riportare l’attenzione sul fatto che oggi la dimensione digitale dell’economia richiede sempre più un nuovo diritto tributario (in realtà non solo tributario) degli “spazi”, non fondato sul vetusto binomio “residenza-territorialità”.
La questione delle valute virtuali è paradigmatica di questa necessità, non essendo ancorate a un territorio, né a quello nazionale né a quello estero. Si può dire, in termini semplicistici, ma comunque fattuali, che le criptovalute stanno nella “rete” (di fatto, nella blockchain), per la quale non esiste né un concetto di “estero” né di territorio nazionale.
Così che la loro dimensione a-territoriale non può essere assimilata, nella gran parte dei casi, a quella delle attività estere di natura finanziaria. Con la conseguenza che il provvedimento del direttore dell’agenzia delle Entrate, con il quale sono stati approvati i modelli dichiarativi, risulterebbe in contrasto con la norma primaria di riferimento (articolo 4 del Dl 167/1990). Senza contare che se soltanto da quest’anno le istruzioni al quadro RW includono le valute virtuali tra le attività da indicare nello stesso, ciò significa che in passato l’obbligo non sussisteva.
Il possesso della chiave privata
Ad ogni modo, si è dell’avviso che l’obbligo del monitoraggio fiscale non si realizza – né oggi né ieri – per le valute virtuali ogni qualvolta la persona fisica residente abbia la disponibilità della chiave privata. Tale conclusione appare in linea con l’articolo 4 del Model Tax Convention on Income and on Capital del 21 novembre 2017, il quale fissa la presunzione che il luogo di detenzione delle valute virtuali sia coincidente con lo Stato ove il contribuente risulta residente ai fini tributari.
Va inoltre considerato che le chiavi private possono anche essere gestite da terzi. In questo ultimo caso assume rilevanza la V Direttiva antiriciclaggio, la quale individua questi soggetti nei «prestatori di servizi di portafogli digitali». Si può così affermare che l’obbligo di indicazione nel quadro RW sussiste unicamente quando il contribuente si avvale di quest’ultimi, e quest’ultimi risultano soggetti non residenti.
Questa soluzione si coniuga anche con l’aspetto sanzionatorio. Le penalità relative al monitoraggio fiscale vengono infatti diversificate a secondo del luogo in cui le attività non dichiarate vengono detenute. Se le stesse risultano detenute nei Paesi black list, le sanzioni risultano raddoppiate. Il legame territoriale delle penalità ha una sua coerenza soltanto per le valute virtuali detenute attraverso i prestatori di servizi di portafogli digitali.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Dario Deotto
Stefano Capaccioli