02/09/2017
L’inopponibilità al Fisco non rende invalido l’atto
Le condotte che rientrano nell’abuso del diritto risultano inopponibili all’amministrazione finanziaria, e possono avere delle conseguenze anche sul piano della dichiarazione tributaria.
Con la norma sull’abuso del diritto è stato stabilito che le operazioni “abusive” non sono opponibili all’agenzia delle Entrate che, di conseguenza, ne disconosce i vantaggi conseguiti dal contribuente, determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi. In sostanza, ciò significa che l’individuazione della condotta elusiva non rende invalidi i negozi posti in essere dal contribuente, ma li rende inefficaci (solo) fiscalmente. Il tema è quindi quello dell’inefficacia relativa. Occorre però rilevare che l’inefficacia va riferita agli effetti propriamente negoziali; le vicende negoziali rilevano però nel diritto tributario come meri “fatti” che, come tali, possono essere valutati e qualificati, prima dagli uffici dell’amministrazione finanziaria e poi dai giudici, in modo del tutto indipendente da come sono stati rappresentati dal contribuente.
Quindi, la vicenda dell’inopponibilità – che è un retaggio delle vecchie norme antielusive tedesche – è un’assoluta mistificazione in ambito tributario. Si consideri quanto accadde con la risoluzione n. 84/E/2013, con la quale venne ritenuta elusiva, e quindi inopponibile all’amministrazione finanziaria, una trasformazione da società di capitali in società semplice. In conseguenza dell’inopponibilità, l’Agenzia rilevò che la società semplice doveva versare l’Ires come società di capitali e presentare il modello previsto per queste ultime società. Senza contare che, alla domanda se, a questo punto, la società potesse optare per il consolidato fiscale, la risposta fu negativa perché «non applicabile da una società semplice». Per il Fisco si trattava, quindi, di un vero e proprio Giano Bifronte: da una parte la società semplice doveva versare le imposte come società di capitali, dall’altra (pur ritenuta fiscalmente una società di capitali) non poteva optare per un istituto – il consolidato – perché considerata società semplice.
Si consideri, a questo punto, il caso della recente risoluzione n. 99/E//2017. Il caso era il seguente: una società risulta intestataria di un immobile che utilizza direttamente. La società voleva assegnarlo ai soci, utilizzando le norme agevolative della legge 208/2015. Quest’ultime, tuttavia, prevedono il trattamento agevolativo per gli immobili diversi da quelli utilizzati direttamente. Sicché la società intendeva: 1) conferire l’azienda in una New.co costituita dagli stessi soci della società conferente; 2) concedere in locazione l’immobile alla stessa New.co; 3) assegnare l’immobile ai soci; 4) sciogliersi e assegnare ai soci la partecipazione nella New.co.
Secondo la risoluzione, si tratta di abuso del diritto. Quindi, tutta la sequenza delle operazioni risulta inefficace – inopponibile - per l’amministrazione finanziaria. Per cui, se le operazioni sono state poste in essere, l’immobile – sotto il profilo fiscale e, quindi, anche dichiarativo – risulterebbe ancora in capo alla società conferente, così come, a questo punto, dovrebbe essere disconosciuta – sempre fiscalmente – anche la costituzione della New.co.
Questo per dire che quello dell’inopponibilità risulta uno dei più grandi fraintendimenti tributari.
Nell’elusione/abuso del diritto le operazioni poste in essere risultano perfettamente valide sia tra le parti che per i terzi (compreso il Fisco): è solo il vantaggio fiscale conseguito che risulta indebito e che, come tale, deve essere disconosciuto. Il caso paradigmatico è quello dell’interposizione reale. In tutti i casi, in cui, invece, viene rappresentato un assetto negoziale apparente – come nei casi di interposizione fittizia, dissimulazione, simulazione vera e propria – l’amministrazione deve, ovviamente, accertare l’assetto negoziale effettivo, che è l’unico rilevante ai fini dell’applicazione dei tributi. Ma in questo caso non si tratta di abuso del diritto (elusione): questa si chiama evasione a tutti gli effetti.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Dario Deotto
Con la norma sull’abuso del diritto è stato stabilito che le operazioni “abusive” non sono opponibili all’agenzia delle Entrate che, di conseguenza, ne disconosce i vantaggi conseguiti dal contribuente, determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi. In sostanza, ciò significa che l’individuazione della condotta elusiva non rende invalidi i negozi posti in essere dal contribuente, ma li rende inefficaci (solo) fiscalmente. Il tema è quindi quello dell’inefficacia relativa. Occorre però rilevare che l’inefficacia va riferita agli effetti propriamente negoziali; le vicende negoziali rilevano però nel diritto tributario come meri “fatti” che, come tali, possono essere valutati e qualificati, prima dagli uffici dell’amministrazione finanziaria e poi dai giudici, in modo del tutto indipendente da come sono stati rappresentati dal contribuente.
Quindi, la vicenda dell’inopponibilità – che è un retaggio delle vecchie norme antielusive tedesche – è un’assoluta mistificazione in ambito tributario. Si consideri quanto accadde con la risoluzione n. 84/E/2013, con la quale venne ritenuta elusiva, e quindi inopponibile all’amministrazione finanziaria, una trasformazione da società di capitali in società semplice. In conseguenza dell’inopponibilità, l’Agenzia rilevò che la società semplice doveva versare l’Ires come società di capitali e presentare il modello previsto per queste ultime società. Senza contare che, alla domanda se, a questo punto, la società potesse optare per il consolidato fiscale, la risposta fu negativa perché «non applicabile da una società semplice». Per il Fisco si trattava, quindi, di un vero e proprio Giano Bifronte: da una parte la società semplice doveva versare le imposte come società di capitali, dall’altra (pur ritenuta fiscalmente una società di capitali) non poteva optare per un istituto – il consolidato – perché considerata società semplice.
Si consideri, a questo punto, il caso della recente risoluzione n. 99/E//2017. Il caso era il seguente: una società risulta intestataria di un immobile che utilizza direttamente. La società voleva assegnarlo ai soci, utilizzando le norme agevolative della legge 208/2015. Quest’ultime, tuttavia, prevedono il trattamento agevolativo per gli immobili diversi da quelli utilizzati direttamente. Sicché la società intendeva: 1) conferire l’azienda in una New.co costituita dagli stessi soci della società conferente; 2) concedere in locazione l’immobile alla stessa New.co; 3) assegnare l’immobile ai soci; 4) sciogliersi e assegnare ai soci la partecipazione nella New.co.
Secondo la risoluzione, si tratta di abuso del diritto. Quindi, tutta la sequenza delle operazioni risulta inefficace – inopponibile - per l’amministrazione finanziaria. Per cui, se le operazioni sono state poste in essere, l’immobile – sotto il profilo fiscale e, quindi, anche dichiarativo – risulterebbe ancora in capo alla società conferente, così come, a questo punto, dovrebbe essere disconosciuta – sempre fiscalmente – anche la costituzione della New.co.
Questo per dire che quello dell’inopponibilità risulta uno dei più grandi fraintendimenti tributari.
Nell’elusione/abuso del diritto le operazioni poste in essere risultano perfettamente valide sia tra le parti che per i terzi (compreso il Fisco): è solo il vantaggio fiscale conseguito che risulta indebito e che, come tale, deve essere disconosciuto. Il caso paradigmatico è quello dell’interposizione reale. In tutti i casi, in cui, invece, viene rappresentato un assetto negoziale apparente – come nei casi di interposizione fittizia, dissimulazione, simulazione vera e propria – l’amministrazione deve, ovviamente, accertare l’assetto negoziale effettivo, che è l’unico rilevante ai fini dell’applicazione dei tributi. Ma in questo caso non si tratta di abuso del diritto (elusione): questa si chiama evasione a tutti gli effetti.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Dario Deotto