07/04/2017
Nelle cessioni il limite è dato dal legittimo risparmio d’imposta
Registro. dopo la stretta della cassazione
Dario Deotto
La soluzione della vicenda della presunta prevalenza degli effetti economici sugli effetti giuridici ai fini dell’imposta di registro (si veda «Il Sole 24 Ore» del 06.04) va ricercata nel principio del legittimo risparmio d’imposta. A ben vedere, la questione ha origine remote. Nasce sostanzialmente con la prima norma antielusiva tedesca del 1919 (anche se l’articolo 20 dell’imposta di registro non ha nulla a che vedere con l’elusione), in cui si affermava che si doveva far riferimento alla sostanza economica delle operazioni. La presunta valenza, soprattutto in chiave antielusiva, della sostanza economica ha avuto eco fino a poco tempo fa anche in ambito comunitario: la raccomandazione 2012/772/Ue, puntualmente “copiata” nei primi tre commi dalla norma interna sull’abuso del diritto (articolo 10-bis della legge 212/2000). Se ne discosta parzialmente, invece, l’ultima direttiva sull’elusione (la 2016/1164). Se si pensa, anche le interpretazioni che venivano fatte in relazione alla norma anti elusiva dell’abrogato articolo 37-bis del Dpr 600/1973, sulla presunta necessità delle valide ragioni economiche, erano “figlie” del principio della prevalenza della sostanza sulla forma (giuridica). Non c’è da stupirsi, quindi, se questo “retaggio” esercita una qualche influenza nella giurisprudenza di legittimità sulla vicenda delle presunte riqualificazioni di determinate operazioni ai fini dell’imposta di registro. Va detto che il principio di tassare la sostanza economica in luogo del “vestito” giuridico può apparentemente risultare corretto. E non solo ai fini dell’imposta di registro. Il fatto è, però, che la ricerca di tassare la vicenda economica non può portare a disconoscere una forma giuridica legittima rispetto ad un’altra altrettanto legittima. La tassazione della sostanza economica può quindi realizzarsi in presenza di vicende simulatorie/dissimulatorie oppure quando la norma espressamente deroga alla forma giuridica utilizzata. Va infatti considerato che gli effetti economici sono una conseguenza, meglio una “qualificazione”, degli effetti giuridici. Ma questo processo di qualificazione non può portare a sostituire una forma giuridica rispetto ad un’altra, se quella utilizzata risulta legittima. Difatti, se una cessione totalitaria di quote viene considerata sotto il profilo economico cessione d’azienda, non si fa altro che sostituire, di fatto, una forma giuridica (la cessione totalitaria di quote) con un’altra (la cessione d’azienda). Il fatto è, però, che sia la cessione di quote totalitaria che la cessione d’azienda risultano percorsi giuridici legittimi. Con la conseguenza che, pretendendo di sostituire una forma giuridica con un’altra ritenuta “più normale” - perché soggetta ad una tassazione più onerosa - si tornerebbe indietro di quasi un secolo e di tutto quanto (impropriamente) ne è seguito. Risulterebbe, di fatto, del tutto inutile la nuova previsione del comma 4 dell’articolo 10-bis dello Statuto del contribuente, che prevede che il contribuente può scegliere tra vari percorsi giuridici quello che consente una minore tassazione, a prescindere dalla sostanza economica. Conseguentemente, il “limite” che uffici dell’amministrazione finanziaria e giudici devono rispettare risulta quello del legittimo risparmio d’imposta, che non può portare a veicolare la tassazione attraverso una forma giuridica diversa da quella utilizzata (se legittima). Invece, gli uffici e i giudici possono provvedere senz’altro a riqualificare vicende simulatorie/dissimulatorie, ma qui l’articolo 20 del Dpr 131/1986 non c’entra proprio nulla. Il classico esempio è quello del “frazionamento” del trasferimento d’azienda in più beni: si tratta di dissimulazione di una cessione d’azienda. Ulteriormente, quando un contratto di comodato viene portato alla registrazione e dalle clausole si desume, ad esempio, che c’è un corrispettivo, l’ufficio deve “qualificarlo” correttamente come contratto di locazione, perché sia giuridicamente che economicamente risulta tale (questa è l’attività interpretativa dell’articolo 20 del Dpr 131/1986). Quindi, un conto è la “riqualificazione”, che riguarda vicende simulatorie e che nulla ha a che vedere con l’articolo 20 del Dpr 131/1986, altro è la “qualificazione” (che riguarda l’articolo 20), altro ancora il legittimo risparmio d’imposta.
Dario Deotto
La soluzione della vicenda della presunta prevalenza degli effetti economici sugli effetti giuridici ai fini dell’imposta di registro (si veda «Il Sole 24 Ore» del 06.04) va ricercata nel principio del legittimo risparmio d’imposta. A ben vedere, la questione ha origine remote. Nasce sostanzialmente con la prima norma antielusiva tedesca del 1919 (anche se l’articolo 20 dell’imposta di registro non ha nulla a che vedere con l’elusione), in cui si affermava che si doveva far riferimento alla sostanza economica delle operazioni. La presunta valenza, soprattutto in chiave antielusiva, della sostanza economica ha avuto eco fino a poco tempo fa anche in ambito comunitario: la raccomandazione 2012/772/Ue, puntualmente “copiata” nei primi tre commi dalla norma interna sull’abuso del diritto (articolo 10-bis della legge 212/2000). Se ne discosta parzialmente, invece, l’ultima direttiva sull’elusione (la 2016/1164). Se si pensa, anche le interpretazioni che venivano fatte in relazione alla norma anti elusiva dell’abrogato articolo 37-bis del Dpr 600/1973, sulla presunta necessità delle valide ragioni economiche, erano “figlie” del principio della prevalenza della sostanza sulla forma (giuridica). Non c’è da stupirsi, quindi, se questo “retaggio” esercita una qualche influenza nella giurisprudenza di legittimità sulla vicenda delle presunte riqualificazioni di determinate operazioni ai fini dell’imposta di registro. Va detto che il principio di tassare la sostanza economica in luogo del “vestito” giuridico può apparentemente risultare corretto. E non solo ai fini dell’imposta di registro. Il fatto è, però, che la ricerca di tassare la vicenda economica non può portare a disconoscere una forma giuridica legittima rispetto ad un’altra altrettanto legittima. La tassazione della sostanza economica può quindi realizzarsi in presenza di vicende simulatorie/dissimulatorie oppure quando la norma espressamente deroga alla forma giuridica utilizzata. Va infatti considerato che gli effetti economici sono una conseguenza, meglio una “qualificazione”, degli effetti giuridici. Ma questo processo di qualificazione non può portare a sostituire una forma giuridica rispetto ad un’altra, se quella utilizzata risulta legittima. Difatti, se una cessione totalitaria di quote viene considerata sotto il profilo economico cessione d’azienda, non si fa altro che sostituire, di fatto, una forma giuridica (la cessione totalitaria di quote) con un’altra (la cessione d’azienda). Il fatto è, però, che sia la cessione di quote totalitaria che la cessione d’azienda risultano percorsi giuridici legittimi. Con la conseguenza che, pretendendo di sostituire una forma giuridica con un’altra ritenuta “più normale” - perché soggetta ad una tassazione più onerosa - si tornerebbe indietro di quasi un secolo e di tutto quanto (impropriamente) ne è seguito. Risulterebbe, di fatto, del tutto inutile la nuova previsione del comma 4 dell’articolo 10-bis dello Statuto del contribuente, che prevede che il contribuente può scegliere tra vari percorsi giuridici quello che consente una minore tassazione, a prescindere dalla sostanza economica. Conseguentemente, il “limite” che uffici dell’amministrazione finanziaria e giudici devono rispettare risulta quello del legittimo risparmio d’imposta, che non può portare a veicolare la tassazione attraverso una forma giuridica diversa da quella utilizzata (se legittima). Invece, gli uffici e i giudici possono provvedere senz’altro a riqualificare vicende simulatorie/dissimulatorie, ma qui l’articolo 20 del Dpr 131/1986 non c’entra proprio nulla. Il classico esempio è quello del “frazionamento” del trasferimento d’azienda in più beni: si tratta di dissimulazione di una cessione d’azienda. Ulteriormente, quando un contratto di comodato viene portato alla registrazione e dalle clausole si desume, ad esempio, che c’è un corrispettivo, l’ufficio deve “qualificarlo” correttamente come contratto di locazione, perché sia giuridicamente che economicamente risulta tale (questa è l’attività interpretativa dell’articolo 20 del Dpr 131/1986). Quindi, un conto è la “riqualificazione”, che riguarda vicende simulatorie e che nulla ha a che vedere con l’articolo 20 del Dpr 131/1986, altro è la “qualificazione” (che riguarda l’articolo 20), altro ancora il legittimo risparmio d’imposta.