11/03/2019
Professione, deducibile il canone pagato alla società della moglie
Non costituisce abuso del diritto la deduzione, da parte di un notaio, dei canoni di locazione relativi a un immobile di proprietà di una società di cui risulta socia al 99% la moglie dello stesso notaio. Lo stabilisce, con sentenza 185/5/2019, depositata l’11 febbraio scorso, la Ctr del Piemonte (presidente Perelli, relatore Rinaldi). In senso sempre favorevole allo stesso contribuente si era già espressa la Ctp di Alessandria 386/1/2016, depositata il 14 novembre 2016.
La vicenda crea un po’ di sconforto perché fa comprendere che gli uffici periferici dell’Agenzia continuano a coltivare del contenzioso inutile e completamente fuori luogo, magari confidando in qualche “infortunio” della giustizia tributaria. La tesi fatta propria dall’ufficio – nell’atto di appello – è che il notaio «ha avuto il vantaggio fiscale di poter dedurre i costi relativi alla locazione, vantaggio che non avrebbe avuto se avesse acquistato personalmente l’immobile». Questo perché il preliminare di acquisto era stato sottoscritto dallo stesso notaio, mentre poi l’acquisto definitivo era stato stipulato dalla società partecipata al 99% dalla moglie che poi l’aveva locato – come riportato – al notaio. Sempre secondo l’ufficio, vi sarebbe stata «una artificiosa costituzione di società».
Da tali argomentazioni si comprende quanto ancora sia difficile fare capire che non è il vantaggio fiscale che “fa l’abuso”, ma il vantaggio fiscale indebito. E poi, soprattutto, non si comprende ancora che nell’abuso del diritto tutte le operazioni poste in essere sono assolutamente valide, sia nei confronti delle parti che dei terzi: è solamente il vantaggio (fiscale) che risulta illegittimo. Nell’abuso non ci sono artifizi, dissimulazioni, non c’è alcuna manipolazione della realtà: vi è perfetta coincidenza tra ciò che le parti dichiarano di volere e ciò che realmente vogliono. Le manipolazioni, le finzioni, le dissimulazioni appartengono all’evasione, per cui se l’ufficio ritiene che vi siano stati degli artifizi, in sostanza che la società del caso in questione sia interposta oppure che il contratto posto in essere sia “finto”, deve provarlo, anche attraverso presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti. Ma in queste situazioni – lo si ripete - l’abuso del diritto non c’entra proprio nulla: nell’abuso non c’è alcuna divergenza tra apparenza e realtà.
Così che la Ctr del Piemonte ha dovuto semplicemente rilevare che l’ufficio non ha provato l’interposizione della società partecipata dalla moglie del notaio. Secondo la Ctr, il comportamento del notaio va ascritto al legittimo risparmio d’imposta e correttamente viene stabilito che, di fronte alle possibili scelte offerte dall’ordinamento, il contribuente non deve certamente scegliere la via fiscalmente più onerosa.
Unico neo della sentenza il fatto che vengono fatte aleggiare le valide ragioni economiche. Tuttavia, se il contribuente sceglie un determinato negozio legittimo non c’è alcuna valida ragione economica che tenga. La mistificatoria pretesa di tassare la vicenda economica – da più di qualche parte ancora avanzata - non può portare a disconoscere una forma giuridica legittima rispetto a un’altra altrettanto legittima, solo perché la prima risulta meno onerosa fiscalmente.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Dario Deotto
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