12/02/2018
Più certezze sui costi aziendali inerenti
L’inerenza è una vicenda (esclusivamente) di tipo qualitativo, scevra da qualsiasi criterio di utilità o vantaggio, e non legata in alcun modo alla previsione dell’articolo 109, comma 5, del Tuir. Con una pronuncia che si può definire “storica” – l’ordinanza n. 450 dell’11 gennaio 2018 – la Corte di cassazione sembra volere mettere fine a un grandissimo equivoco che, negli anni, si è verificato nella determinazione del reddito d’impresa. Da taluni passaggi della pronuncia si comprende, infatti, che il reale proposito della stessa è (solo) quello di disattendere la nozione di inerenza fin qui (impropriamente) utilizzata dalla giurisprudenza della stessa Corte di cassazione (così come da parte dell’agenzia delle Entrate).
Da tempo si riporta che l’inerenza rappresenta un principio fondamentale nella determinazione del reddito d’impresa, il quale identifica quel necessario collegamento che vi deve essere tra un componente economico e l’attività esercitata, o da esercitarsi, da parte dell’imprenditore.
In pratica, nella determinazione del reddito d’impresa, occorre prima effettuare una ricognizione preventiva con riguardo a tutte le poste che hanno determinato il risultato di bilancio, le quali devono risultare collegate con la fonte produttiva e, quindi, devono risultare inerenti. Il giudizio di inerenza opera, pertanto, su un livello “preventivo” generale e più alto rispetto alle singole disposizioni del Tuir, essendo volto a cogliere se si realizza quel necessario collegamento, anche in via prospettica, tra il componente economico e l’attività dell’imprenditore. Si tratta di un giudizio, in definitiva, circa la connessione tra un componente di reddito e l’attività esercitata, o da esercitarsi in via prospettica. Questo giudizio, evidentemente, deve riguardare sia poste positive che negative di reddito, anche se, evidentemente, le maggiori problematiche riguardano i componenti negativi.
Una volta individuate quelle che sono le poste inerenti, queste devono poi essere valorizzate secondo la visione fiscale delle singole norme del Tuir. L’inerenza, in definitiva, rappresenta una sorta di pre-requisito generale, in base al quale devono essere fatti confluire nella determinazione del reddito solamente quei componenti economici che hanno un collegamento con l’attività esercitata da parte dell’imprenditore. Trattandosi di una clausola generale preventiva – si dice che l’inerenza rappresenta un principio immanente nella determinazione del reddito d’impresa – non vi è, nella determinazione del reddito d’impresa, una espressa disciplina positiva nell’ambito delle varie disposizioni del Tuir. Tant’è che è stato più volte rilevato quanto fosse improprio il riferimento fatto dalla stessa Cassazione, oltreché dall’agenzia delle Entrate, alla previsione dell’articolo 109, comma 5, del Tuir, la quale si occupa, invece, del diverso aspetto legato alla riferibilità dei componenti negativi ai proventi imponibili, esclusi ed esenti. Lo scopo della disposizione citata risulta, in particolare, quello di evitare che componenti negativi che si riferiscono a proventi esenti possano essere portati in deduzione. In sostanza, la previsione dell’articolo 109, comma 5, del Tuir disciplina una ipotesi molto più ristretta rispetto al principio dell’inerenza, occupandosi del diverso e specifico problema della deducibilità dei componenti negativi in presenza di ricavi e compensi non computabili nella determinazione del reddito d’impresa in quanto esenti.
Ora, finalmente, con l’ordinanza 450/2018, la Corte si “ravvede” e afferma chiaramente che l’inerenza non risulta disciplinata dall’articolo 109, comma 5, del Tuir (in precedenza, articolo 75, comma 5). La cosa non è teorica, come potrebbe apparire a una prima superficiale lettura. Un primo risvolto “operativo” è quello legato alla deduzione degli interessi passivi per i soggetti Ires. La Corte di cassazione, in più occasioni, ha ritenuto tali interessi passivi deducibili a prescindere da un legame di inerenza, proprio per effetto dell’errata riferibilità di tale principio all’articolo 109, comma 5, del Tuir. Evidentemente, invece, anche gli interessi passivi, come gli altri componenti negativi, devono risultare inerenti per essere ammessi in deduzione.
Un altro pregevole principio che emerge dalla pronuncia 450/2018 è quello in cui viene stabilito che l’inerenza è una vicenda prettamente di tipo qualitativo, affrancata dai concetti di utilità o vantaggio, e quindi anche dalla nozione di congruità della spesa. La conseguenza che ne deriva è che un comportamento di tipo antieconomico non può essere sindacato in ragione del principio di inerenza.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Pagina a cura di
Dario Deotto
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