02/12/2019
La scadenza per il modello Redditi apre la stagione delle integrative
Con la scadenza di presentazione dei modelli dichiarativi – oggi, lunedì 2 dicembre – si apre la stagione delle dichiarazioni integrative, a favore e a sfavore del contribuente.
Le integrative a favore sono disciplinate dall’articolo 2, commi 8 e 8-bis, del Dpr 322/98. Dopo le modifiche apportate a fine 2016, con questo strumento è possibile rimediare a errori che hanno determinato un maggior versamento o l’indicazione di un maggiore imponibile, entro il termine di decadenza dell’azione accertatrice. Non è peraltro ostativa la notifica di un avviso di accertamento, tenuto conto del fatto che gli elementi rettificati con la dichiarazione a favore possono essere controllati dal Fisco entro la scadenza di legge ordinaria, decorrente però dalla trasmissione di essa.
Le dichiarazioni a sfavore del contribuente servono invece a rimediare a violazioni commesse da questi. Tra le dichiarazioni integrative vanno anche considerate quelle trasmesse entro 90 giorni dal termine ordinario per modificare scelte e opzioni manifestate nella dichiarazione originaria, che si considerano “sostitutive” di quest’ultima.
Non sempre tuttavia, secondo l’opinione della Cassazione, è ammissibile la correzione degli errori che il contribuente ha commesso a suo danno. Quando si tratta di manifestazioni di volontà, infatti, l’ultima chance è generalmente proprio rappresentata dalla dichiarazione integrativa nei 90 giorni.
Le possibilità di correzione
La Corte di cassazione ha in più occasioni, anche a Sezioni unite, affermato il principio che la dichiarazione deve potere essere corretta. Ciò, in ragione del fatto che la stessa rappresenta, in via generale, una dichiarazione di scienza. È stato allo scopo valorizzato anche il principio di capacità contributiva che osta alla commisurazione delle imposte su imponibili non corrispondenti al vero (Sezioni unite, 13378/2016). In tale contesto, è stato altresì affermato il criterio secondo cui il contribuente ha il diritto di apportare correzioni alla dichiarazione direttamente in sede contenziosa, nella fase di opposizione agli atti impositivi del Fisco (aspetto oggi “codificato” nell’articolo 2, comma 8-bis, del Dpr 322/98).
Opzioni riviste e «remissione»
A fianco di tale orientamento consolidato, ve ne è tuttavia un altro che distingue, all’interno del contenuto del modello dichiarativo, la parte che reca delle manifestazioni di volontà. In particolare, può trattarsi di:
fattispecie in cui il contribuente sceglie un determinato comportamento tra una pluralità di possibilità;
casi in cui, ai fini di beneficiare di una agevolazione, occorre esprimere un’opzione, ad esempio, barrando una determinata casella.
In tutte queste ipotesi, la dichiarazione, sempre secondo la Cassazione, è tendenzialmente irretrattabile, salvo che l’errore non sia facilmente riconoscibile, ai sensi dell’articolo 1427 del Codice civili. Gli unici rimedi disponibili sono rappresentati dalla dichiarazione integrativa nei 90 giorni e dalla remissione in bonis.
Nel primo caso, infatti, la pacifica prassi amministrativa consente l’indicazione o la revisione di opzioni dimenticate nella denuncia nei termini (risoluzione 325/E/2002). La remissione in bonis (articolo 2 del Dl 16/2012) ha proprio lo scopo di regolarizzare opzioni tardive, legittimate dal comportamento concludente del contribuente. Però, a rigor di legge, i tempi sono molto ristretti.
L’adempimento omesso va infatti eseguito entro la scadenza della prima dichiarazione successiva al termine dell’opzione. Dunque, se l’opzione doveva essere espressa, ad esempio, entro il 25 novembre scorso, il termine scade oggi.
La Cassazione, con la pronuncia 21120/2018, ha tra l’altro preso in esame la “liberalizzazione” della dichiarazione integrativa a favore introdotta nel 2016. La Corte ha al riguardo osservato che l’intervenuta decadenza di un’opzione non è suscettibile di sanatoria per effetto di una disciplina successiva.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
A cura di
Dario Deotto
Luigi Lovecchio
Le integrative a favore sono disciplinate dall’articolo 2, commi 8 e 8-bis, del Dpr 322/98. Dopo le modifiche apportate a fine 2016, con questo strumento è possibile rimediare a errori che hanno determinato un maggior versamento o l’indicazione di un maggiore imponibile, entro il termine di decadenza dell’azione accertatrice. Non è peraltro ostativa la notifica di un avviso di accertamento, tenuto conto del fatto che gli elementi rettificati con la dichiarazione a favore possono essere controllati dal Fisco entro la scadenza di legge ordinaria, decorrente però dalla trasmissione di essa.
Le dichiarazioni a sfavore del contribuente servono invece a rimediare a violazioni commesse da questi. Tra le dichiarazioni integrative vanno anche considerate quelle trasmesse entro 90 giorni dal termine ordinario per modificare scelte e opzioni manifestate nella dichiarazione originaria, che si considerano “sostitutive” di quest’ultima.
Non sempre tuttavia, secondo l’opinione della Cassazione, è ammissibile la correzione degli errori che il contribuente ha commesso a suo danno. Quando si tratta di manifestazioni di volontà, infatti, l’ultima chance è generalmente proprio rappresentata dalla dichiarazione integrativa nei 90 giorni.
Le possibilità di correzione
La Corte di cassazione ha in più occasioni, anche a Sezioni unite, affermato il principio che la dichiarazione deve potere essere corretta. Ciò, in ragione del fatto che la stessa rappresenta, in via generale, una dichiarazione di scienza. È stato allo scopo valorizzato anche il principio di capacità contributiva che osta alla commisurazione delle imposte su imponibili non corrispondenti al vero (Sezioni unite, 13378/2016). In tale contesto, è stato altresì affermato il criterio secondo cui il contribuente ha il diritto di apportare correzioni alla dichiarazione direttamente in sede contenziosa, nella fase di opposizione agli atti impositivi del Fisco (aspetto oggi “codificato” nell’articolo 2, comma 8-bis, del Dpr 322/98).
Opzioni riviste e «remissione»
A fianco di tale orientamento consolidato, ve ne è tuttavia un altro che distingue, all’interno del contenuto del modello dichiarativo, la parte che reca delle manifestazioni di volontà. In particolare, può trattarsi di:
fattispecie in cui il contribuente sceglie un determinato comportamento tra una pluralità di possibilità;
casi in cui, ai fini di beneficiare di una agevolazione, occorre esprimere un’opzione, ad esempio, barrando una determinata casella.
In tutte queste ipotesi, la dichiarazione, sempre secondo la Cassazione, è tendenzialmente irretrattabile, salvo che l’errore non sia facilmente riconoscibile, ai sensi dell’articolo 1427 del Codice civili. Gli unici rimedi disponibili sono rappresentati dalla dichiarazione integrativa nei 90 giorni e dalla remissione in bonis.
Nel primo caso, infatti, la pacifica prassi amministrativa consente l’indicazione o la revisione di opzioni dimenticate nella denuncia nei termini (risoluzione 325/E/2002). La remissione in bonis (articolo 2 del Dl 16/2012) ha proprio lo scopo di regolarizzare opzioni tardive, legittimate dal comportamento concludente del contribuente. Però, a rigor di legge, i tempi sono molto ristretti.
L’adempimento omesso va infatti eseguito entro la scadenza della prima dichiarazione successiva al termine dell’opzione. Dunque, se l’opzione doveva essere espressa, ad esempio, entro il 25 novembre scorso, il termine scade oggi.
La Cassazione, con la pronuncia 21120/2018, ha tra l’altro preso in esame la “liberalizzazione” della dichiarazione integrativa a favore introdotta nel 2016. La Corte ha al riguardo osservato che l’intervenuta decadenza di un’opzione non è suscettibile di sanatoria per effetto di una disciplina successiva.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
A cura di
Dario Deotto
Luigi Lovecchio