20/09/2021
Società di comodo, non tocca al giudice valutare la «sfortuna»
Il fato – quando avverso – e l’inettitudine produttiva rappresentano delle (valide) oggettive situazioni in grado di superare la presunzione delle società di comodo. Questo è, in sostanza, il principio che deriva dall’ordinanza 23384/21 dell’agosto scorso della Cassazione, giudicata da più parti positivamente, s’immagina per l’esito favorevole al contribuente.
È il caso, tuttavia, di esaminare questa pronuncia con più attenzione. In primo luogo, occorre rilevare che la Corte continua ad attribuire alle oggettive situazioni che hanno impedito il conseguimento dei valori minimi il valore di prova contraria (nel caso di specie: gli «eventi sfortunati» e l’«inettitudine produttiva») che il contribuente deve fornire avverso la presunzione di legge. È un evidente errore in quanto le oggettive situazioni, in base alla norma di legge, sono da dimostrare solo in caso di presentazione dell’interpello, mentre avanti al giudice la società deve dare prova che svolge un’effettiva attività economica (o dei motivi per i quali non può svolgerla) e che, quindi, non abusa della persona giuridica. Anche perché limitare la prova contraria alle oggettive situazioni di impedimento al conseguimento dei ricavi minimi risulterebbe chiaramente illegittimo, nell’ottica dell’articolo 24 della Costituzione.
C’è poi la questione del fato avverso e dell’inettitudine produttiva. Il «concentrarsi di eventi sfortunati» può essere considerato – secondo i giudici – idonea prova contraria per superare la presunzione. Qui si pone una prima domanda. Premesso che il destino è ciò che sfugge alla logica della ragione (i giudici si riferiscono a ragioni estranee alla volontà del soggetto), qual è la “latitudine” di un evento sfortunato? E soprattutto: si è davvero sicuri che questa valutazione spetti al giudice? Che è, poi, il medesimo interrogativo che occorrerebbe porsi in relazione alla «inettitudine produttiva», che viene identificata – dalla Cassazione - non nella «mancanza di volontà dell’imprenditore (...) quanto alla incapacità dello stesso a raggiungere determinati risultati, voluti, ma non conseguiti per un suo deficit di capacità». [...]
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Dario Deotto
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