28/05/2018
Indagini finanziarie sulle valute virtuali: la strada è in salita
Le criptovalute entrano anche nel “mondo” delle indagini finanziarie.
Nella circolare 1/2018 della Guardia di finanza è stato messo in risalto che va posta particolare attenzione alle «somme rinvenienti da entità giuridiche le quali gestiscono piattaforme informatiche che convertono moneta avente corso legale in valuta virtuale o criptovalute». È stato in particolare rilevato che un contribuente potrebbe cedere merce in evasione d’imposta a un terzo ricevendone il pagamento in valuta virtuale, che poi solamente nel tempo potrebbe essere convertita in moneta legale, magari dichiarando – rileva la circolare – che si tratta di somme che derivano da vincite da gioco su piattaforme on line.
Al di là di tali ultime affermazioni, è significativo che anche il documento sui controlli della Guardia di finanza si occupi, nell’ambito di quelli relativi alle indagini finanziarie, delle criptovalute. Il documento se ne interessa esclusivamente con riferimento ad eventuali accrediti (su conti correnti ordinari) provenienti dal cosiddetto “mondo crypto”.
Occorre a tal fine rilevare che l’articolo 32, comma 1, n. 2), del Dpr 600/1973 stabilisce che i dati attinenti ai rapporti con gli intermediari finanziari in genere «sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli articoli 38, 39, 40 e 41 del Dpr 600/1973, se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito o che non hanno avuto rilevanza allo stesso fine». Questa prima parte della norma si riferisce, in sostanza, ai versamenti non giustificati in relazione ai rapporti intercorsi con gli intermediari finanziari e riguarda tutti i contribuenti, dai lavoratori dipendenti ai professionisti. Ciò in considerazione del riferimento al «reddito», senza alcuna distinzione, e alle rettifiche che riguardano sia persone fisiche che non svolgono attività economiche (articoli 38 e 41 del Dpr 600/1973) sia imprenditori e autonomi (articoli 39 e 40 dello stesso decreto). Peraltro, per imprese e professionisti vi è una norma simile per l’Iva (articolo 51 Dpr 633/1972 ).
Sempre nell’ambito della previsione di cui all’articolo 32 del Dpr 600/1973, vi è poi una specifica previsione riguardante i prelevamenti non giustificati, che ora riguarda esclusivamente gli imprenditori. Peraltro, dopo le modifiche introdotte con la legge 225/2016, risultano rilevanti solamente i prelievi superiori a 1.000 euro giornalieri e, comunque, a 5mila euro mensili.
Occorre comunque rilevare che – contrariamente a quanto stabilito dalla giurisprudenza di legittimità – la previsione dell’articolo 32 del Dpr 600/1973 risulta collocata nell’ambito dell’attività istruttoria e disciplina esclusivamente l’acquisizione, da parte dell’Amministrazione finanziaria, di «conoscenze fiscalmente rilevanti» ai fini dell’eventuale successivo accertamento. Tant’è che – chiaramente – la norma dispone che i dati acquisiti dall’attività istruttoria «possono essere posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41 del Dpr 600/1973». Il che significa che la norma dell’articolo 32 non è una norma che legittima affatto ex se l’accertamento (e non contiene alcuna presunzione di legge). La norma semplicemente stabilisce che le movimentazioni, per le quali non si è in grado di dare giustificazione, sono poste a base di specifiche norme di accertamento: quelle degli articoli da 38 a 41 del Dpr 600/1973. In sostanza, la norma vuole stabilire che i risultati dell’attività istruttoria vanno canalizzati, se l’ufficio ritiene di dare seguito all’attività istruttoria stessa, in alcune specifiche norme disciplinanti le rettifiche e l’accertamento del tributo vero e proprio.
In tutto questo va ulteriormente rilevato che, sotto il profilo oggettivo, le indagini finanziarie – e non, quindi gli accertamenti bancari – riguardano le attività condotte in relazione ai rapporti intrattenuti dal contribuente non solamente con banche e poste, ma anche in relazione ai rapporti intrattenuti con gli «intermediari finanziari» (oltre con le società fiduciarie e gli altri soggetti individuati specificatamente dalla norma). Occorre rilevare che il concetto di intermediario finanziario è stato individuato in senso “a-tecnico” dalla previsione di cui all’articolo 32 del Dpr 600/1973, differentemente da altre disposizioni dell’ordinamento tributario. Nella circolare delle Entrate 32/E del 2006 vennero inseriti tra gli intermediari finanziari, ad esempio, gli operatori professionali in oro.
Nonostante il prossimo inserimento nella sezione speciale del registro tenuto presso l’Organismo degli agenti e dei mediatori creditizi, in cui verranno annotati i prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale (articolo 17-bis del Dlgs 141/2010), pare tuttavia corretto ritenere che questi ultimi difficilmente possano integrare il requisito di «intermediario finanziario», a cui vanno formulate le richieste che possono attivare le indagini finanziarie (le quali comunque necessitano dell’apposita autorizzazione).
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Dario Deotto
Nella circolare 1/2018 della Guardia di finanza è stato messo in risalto che va posta particolare attenzione alle «somme rinvenienti da entità giuridiche le quali gestiscono piattaforme informatiche che convertono moneta avente corso legale in valuta virtuale o criptovalute». È stato in particolare rilevato che un contribuente potrebbe cedere merce in evasione d’imposta a un terzo ricevendone il pagamento in valuta virtuale, che poi solamente nel tempo potrebbe essere convertita in moneta legale, magari dichiarando – rileva la circolare – che si tratta di somme che derivano da vincite da gioco su piattaforme on line.
Al di là di tali ultime affermazioni, è significativo che anche il documento sui controlli della Guardia di finanza si occupi, nell’ambito di quelli relativi alle indagini finanziarie, delle criptovalute. Il documento se ne interessa esclusivamente con riferimento ad eventuali accrediti (su conti correnti ordinari) provenienti dal cosiddetto “mondo crypto”.
Occorre a tal fine rilevare che l’articolo 32, comma 1, n. 2), del Dpr 600/1973 stabilisce che i dati attinenti ai rapporti con gli intermediari finanziari in genere «sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli articoli 38, 39, 40 e 41 del Dpr 600/1973, se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito o che non hanno avuto rilevanza allo stesso fine». Questa prima parte della norma si riferisce, in sostanza, ai versamenti non giustificati in relazione ai rapporti intercorsi con gli intermediari finanziari e riguarda tutti i contribuenti, dai lavoratori dipendenti ai professionisti. Ciò in considerazione del riferimento al «reddito», senza alcuna distinzione, e alle rettifiche che riguardano sia persone fisiche che non svolgono attività economiche (articoli 38 e 41 del Dpr 600/1973) sia imprenditori e autonomi (articoli 39 e 40 dello stesso decreto). Peraltro, per imprese e professionisti vi è una norma simile per l’Iva (articolo 51 Dpr 633/1972 ).
Sempre nell’ambito della previsione di cui all’articolo 32 del Dpr 600/1973, vi è poi una specifica previsione riguardante i prelevamenti non giustificati, che ora riguarda esclusivamente gli imprenditori. Peraltro, dopo le modifiche introdotte con la legge 225/2016, risultano rilevanti solamente i prelievi superiori a 1.000 euro giornalieri e, comunque, a 5mila euro mensili.
Occorre comunque rilevare che – contrariamente a quanto stabilito dalla giurisprudenza di legittimità – la previsione dell’articolo 32 del Dpr 600/1973 risulta collocata nell’ambito dell’attività istruttoria e disciplina esclusivamente l’acquisizione, da parte dell’Amministrazione finanziaria, di «conoscenze fiscalmente rilevanti» ai fini dell’eventuale successivo accertamento. Tant’è che – chiaramente – la norma dispone che i dati acquisiti dall’attività istruttoria «possono essere posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41 del Dpr 600/1973». Il che significa che la norma dell’articolo 32 non è una norma che legittima affatto ex se l’accertamento (e non contiene alcuna presunzione di legge). La norma semplicemente stabilisce che le movimentazioni, per le quali non si è in grado di dare giustificazione, sono poste a base di specifiche norme di accertamento: quelle degli articoli da 38 a 41 del Dpr 600/1973. In sostanza, la norma vuole stabilire che i risultati dell’attività istruttoria vanno canalizzati, se l’ufficio ritiene di dare seguito all’attività istruttoria stessa, in alcune specifiche norme disciplinanti le rettifiche e l’accertamento del tributo vero e proprio.
In tutto questo va ulteriormente rilevato che, sotto il profilo oggettivo, le indagini finanziarie – e non, quindi gli accertamenti bancari – riguardano le attività condotte in relazione ai rapporti intrattenuti dal contribuente non solamente con banche e poste, ma anche in relazione ai rapporti intrattenuti con gli «intermediari finanziari» (oltre con le società fiduciarie e gli altri soggetti individuati specificatamente dalla norma). Occorre rilevare che il concetto di intermediario finanziario è stato individuato in senso “a-tecnico” dalla previsione di cui all’articolo 32 del Dpr 600/1973, differentemente da altre disposizioni dell’ordinamento tributario. Nella circolare delle Entrate 32/E del 2006 vennero inseriti tra gli intermediari finanziari, ad esempio, gli operatori professionali in oro.
Nonostante il prossimo inserimento nella sezione speciale del registro tenuto presso l’Organismo degli agenti e dei mediatori creditizi, in cui verranno annotati i prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale (articolo 17-bis del Dlgs 141/2010), pare tuttavia corretto ritenere che questi ultimi difficilmente possano integrare il requisito di «intermediario finanziario», a cui vanno formulate le richieste che possono attivare le indagini finanziarie (le quali comunque necessitano dell’apposita autorizzazione).
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Dario Deotto