02/03/2020
Rivalutazione delle quote a rischio di abuso del diritto
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La finalità della norma, chiaramente agevolativa, è quella di incentivare lo scambio delle partecipazioni tramite la riduzione – se non l’azzeramento – della relativa plusvalenza che si genera in occasione del trasferimento, grazie all’incremento del costo fiscale delle quote o azioni.
Tuttavia, tale trattamento di favor per il contribuente può portare a talune criticità, specie nell’ottica dell’abuso del diritto.
Quando il Fisco vede l’abuso
Prendendo in esame alcuni pareri di prassi dell’anno 2019, si nota infatti che l’affrancamento delle partecipazioni e il successivo trasferimento delle stesse sono stati ritenuti, in alcuni casi, operazioni elusive quando facenti parte di sequenze negoziali complesse.
Così, ad esempio, nel principio di diritto 20/2019 è stata considerata elusiva un’operazione strutturata secondo i punti seguenti:
una persona fisica è titolare di una partecipazione, che viene affrancata, nella società A;
la persona fisica cede la partecipazione alla società B;
la persona fisica conserva comunque «particolari poteri» nella società A;
la società B viene poi incorporata nella società A.
Nel caso di specie, secondo l’Agenzia si realizza di fatto un’operazione circolare (nel momento in cui il soggetto cedente si trova a incassare il corrispettivo della cessione).
Occorre anche prendere in considerazione la risposta all’interpello 341/2019. Secondo l’Agenzia, la riorganizzazione prospettata – costituzione di una newco, cessione alla stessa di partecipazioni rivalutate e successiva fusione inversa – porta al medesimo risultato ottenibile tramite il recesso da parte dei soci cedenti le partecipazioni.
Nel caso esaminato, il recesso viene identificato come la via elitaria, guarda caso coincidente con la forma giuridica fiscalmente più onerosa, considerando che per il recesso tipico non assume rilevanza la rivalutazione del costo delle partecipazioni. Da ciò derivando, secondo l’Agenzia, l’abuso del diritto conseguente alle operazioni prospettate. Peraltro, sono stati segnalati numerosi casi in cui gli uffici hanno “trasformato” l’acquisto di azioni proprie, precedentemente affrancate, in recesso tipico.
Il recesso «creato» dall’Agenzia
Il punto, però, è – come più volte si è riportato su queste pagine – che l’ufficio non può, magari in nome del “grimaldello” della sostanza economica, pensare di sostituire una forma giuridica legittima con altre forme giuridiche, altrettanto legittime, che determinano tuttavia una maggiore tassazione. E poi non è che il recesso del socio possa realizzarsi per mera volontà del Fisco. Il recesso può ricorrere esclusivamente nelle ipotesi espressamente tipizzate dal legislatore (articolo 2437 del Codice civile) o nelle fattispecie statutarie ulteriori, sempre disciplinate dallo stesso articolo 2437 (comma 4).
In sostanza, l’uscita del socio attraverso la figura del recesso non si può realizzare né (ovviamente) per volontà del fisco, né per semplice volontà dello stesso socio. Quindi, l’Agenzia non può pretendere di considerare recesso ciò che giuridicamente recesso non è.
Affrancamento e cessione
Anche nella risposta all’interpello 537/2019, nonostante in conclusione la complessiva sequenza negoziale non sia stata ritenuta elusiva, viene fatto aleggiare, da parte dell’agenzia delle Entrate, lo spettro dell’abusività con riferimento alla (preliminare) cessione di partecipazioni, precedentemente rivalutate, a una società indirettamente partecipata dai medesimi cedenti.
Tuttavia, tali affermazioni vanno completamente disattese in quanto l’affrancamento e la successiva cessione delle partecipazioni (anche a una società partecipata dagli stessi soggetti cedenti – tipicamente la società holding) non può in alcun modo risultare, di per sé, sequenza elusiva.
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A cura di
Dario Deotto