30/07/2019
L’ambiguo abuso del diritto, l’Agenzia riapre le contestazioni
L'abuso del diritto è sempre risultato un fenomeno controverso, che trascende il diritto (non solo quello tributario).
In ambito fiscale non ha aiutato una norma (l’articolo 10-bis dello Statuto, legge 212/2000) che è risultata una sorta di mista accondiscendenza alle sollecitazioni unionali e a quelle provenienti dalla giurisprudenza di legittimità interna. Ne è scaturito un testo troppo dettagliato e di difficile attuazione. Gli unici elementi positivi provengono dalla relazione illustrativa che ha fatto comprendere che l'abuso del diritto può essere individuato solamente per esclusione, dopo aver verificato se il vantaggio risulta legittimo e, in caso negativo, dopo avere constatato se tale vantaggio non sia prima da ascrivere all'evasione.
Le indicazioni dell’Agenzia
Tali principi sono stati, di fatto, recepiti anche dalle indicazioni delle Entrate fino a tutto il 2018. Uno degli ultimi documenti in tal senso è stata la risoluzione 40/E/2018 in materia di consolidato domestico, con la quale l'Agenzia ha confermato che quando ci si mette nelle condizioni di legge per fruire di un vantaggio previsto dall'ordinamento non vi è nessuna valida ragione economica (nessuna sostanza economica) da addurre.
In pratica, se è vero che in base all'articolo 10-bis dello Statuto sono considerate abusive le operazioni prive di sostanza economica che realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti, occorre necessariamente valorizzare per prima cosa il fatto che il vantaggio deve essere indebito, cioè non voluto dall'ordinamento, e solo a quel punto potrà essere eventualmente considerato un’operazione priva di sostanza economica.
Così, se si tratta di un vantaggio legittimo, non c'è alcuna indagine da compiere circa l'elusività dell'operazione.
È stato quindi finalmente ripudiato il principio, utilizzato fino a qualche anno fa, secondo il quale le norme antielusive avrebbero il compito di adeguare la tassazione alla sostanza economica. Come se dovesse prevalere sempre la sostanza sulla forma ed esistesse un unico percorso giuridico coincidente con la forma di tassazione più onerosa.
Più opzioni disponibili
Sulla base dei principi derivanti – indirettamente – dalla norma sull'abuso del diritto, l'Agenzia ha dovuto dunque riconoscere che il contribuente può scegliere, per realizzare il medesimo effetto economico, tra le diverse forme giuridiche previste dall'ordinamento. Paradigmatica è risultata la risoluzione 97/E/2017 con la quale è stata affermata la liceità dell'operazione di scissione societaria seguita dal trasferimento delle partecipazioni (previamente affrancate). Questo perché l'ordinamento ammette che l'azienda può circolare indifferentemente sia attraverso una cessione diretta sia attraverso una cessione indiretta.
Tuttavia, negli ultimi tempi tale quadro interpretativo della prassi ha incominciato a vacillare: emblematica in tal senso è risultata la risposta all'interpello 185/2019 con la quale è stata è stata ritenuta elusiva questa sequenza negoziale:
trasformazione da Snc in Srl;
conferimento del ramo d'azienda (in base all'articolo 176 del Tuir) in una società neocostituita;
cessione del 70% delle quote di quest'ultima.
Nel caso di specie è stato completamente ignorato il principio del legittimo risparmio d'imposta.
La disciplina recente
Ma anche il recente principio di diritto 20/2019 (si veda «Il Sole 24 Ore» del 24 luglio) non convince del tutto: in questo caso è stata ritenuta elusiva la cessione da parte di una persona fisica di una partecipazione precedentemente affrancata a una società in cui il cedente è in grado di esercitare un sostanziale controllo. Non convince, in particolare, che nel caso specifico l'operazione sia a tutti gli effetti da ritenersi “circolare”.
Le operazioni circolari sono quelle riconducibili a sequenze negoziali i cui effetti sono destinati ad elidersi, la cui finalità è il conseguimento di un vantaggio fiscale contrario alla ratio delle norme o del sistema tributario.
La sensazione che si ha, ad ogni modo, è che si stiano gettando delle ombre su principi che però non possono (più) essere messi in discussione. In particolare, quello del legittimo risparmio d'imposta, in base al quale il contribuente può certamente scegliere l'opzione negoziale fiscalmente meno gravosa.
Inoltre, va tenuto conto di un altro principio cardine: nell'abuso del diritto l'ufficio non può sostituire la forma giuridica utilizzata con un'altra (più onerosa), altrimenti vorrebbe dire che il contribuente ha utilizzato strumenti finzionistici, i quali ricadono nell'evasione.
Posti questi fondamentali “paletti”, se il vantaggio non è legittimo, si potrà realizzare ipotesi di abuso del diritto. Sempre che non si tratti di un vantaggio indebito da ascrivere all'evasione.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Dario Deotto
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