02/08/2017
Operazioni societarie ad ostacoli
Operazioni societarie a ostacoli
Pesano sulle scelte le interpretazioni dei giudici su Registro e percorsi giuridici simulati
Ora che l’agenzia delle Entrate ha “sdoganato” tutta una serie di operazioni societarie, in passato ritenute impropriamente elusive, il “blocco” giunge, di fatto, dalla Corte di cassazione.
Fino a poco tempo fa vi sono stati molti fraintendimenti sull’elusione (ora abuso del diritto, ma forse meglio tornare a chiamarla elusione): il primo fra tutti è stato quello di ricercare sempre e comunque la presenza di valide ragioni economiche (ora sostanza economica) sottostanti alle operazioni. L’altro fraintendimento è stato quello di individuare l’elusione come una sorta di abuso delle forme giuridiche, come se il contribuente dovesse sempre scegliere la via fiscalmente più onerosa.
Ora, l’Agenzia, in più occasioni (l’ultima è stata con la recente risoluzione 97/E/2017, con il caso della scissione e il successivo trasferimento di partecipazioni) ha riconosciuto che se il sistema offre più percorsi alternativi e tutti questi percorsi risultano legittimi, il contribuente può scegliere quello fiscalmente meno oneroso (e questo a prescindere dalla sostanza economica sottostante). L’Agenzia, però, si è “rimessa” nelle mani della Cassazione per quanto concerne la possibilità di riqualificazione (in realtà, sarebbe qualificazione) di certe operazioni ai fini dell’imposta di registro.
Il problema, tuttavia, non sembra essere solo quello riguardante l’imposta di registro, vista la recente sentenza della stessa Corte (la 38016/17, si veda Il Sole 24 Ore di ieri) che ha considerato simulata la cessione di quote successiva a una scissione societaria di un comparto immobiliare, ritenendola cessione di immobili. Nel caso trattato, tuttavia, la cessione di quote, una volta riscontrata l’assenza dei requisiti Pex, doveva semplicemente essere considerata come cessione imponibile. Tant’è che la stessa Agenzia, nella risoluzione n. 97/E, fa presente la propria contrarietà (circa l’eventuale vantaggio fiscale conseguito) alle riorganizzazioni finalizzate non al trasferimento di aziende ma di singoli beni come «liquidità, intangibles o immobili». Ma in tutto questo la simulazione, peraltro non riscontrata neanche presuntivamente, della sentenza della Cassazione non c’entra proprio nulla.
Così come il fraintendimento c’è sulla portata dell’articolo 20 del Dpr 131/1986. Norma che, secondo la Cassazione, permetterebbe di qualificare plurime operazioni secondo la causa concreta economica dell’operazione complessiva.
Occorrerebbe tuttavia riflettere sul fatto che la ricerca della sostanza economica in presenza di plurime operazioni (o anche singole, come nel caso della cessione di quote totalitaria considerata cessione d’azienda) non può portare a sostituire una forma giuridica con un’altra. Gli effetti economici risultano, difatti, una qualificazione di quelli giuridici. In sostanza, non esiste un effetto economico se prima non vi è un fatto giuridico. Sicché, se la scissione e il successivo trasferimento di quote vengono qualificati come cessione d’azienda, non si fa altro, di fatto, che sostituire una forma giuridica (la scissione e il successivo trasferimento delle partecipazioni) con un’altra (la cessione d’azienda) che risulta, però, più onerosa fiscalmente. In sostanza, risulta un fraintendimento quello di ricercare gli effetti economici - nonostante il chiaro riferimento dell’articolo 20 agli effetti giuridici - se poi, in realtà, si modifica uno schema negoziale con un altro.
La tassazione della sostanza economica può invece ricercarsi in presenza di vicende simulatorie oppure quando la norma espressamente deroga alla forma giuridica utilizzata.
In definitiva, se l’ordinamento prevede più forme giuridiche per raggiungere un dato risultato economico, non si può pretendere, nemmeno per l’imposta di registro, di sostituire una forma giuridica legittima con un’altra considerata “ideale” solo perché quest’ultima risulta più onerosa fiscalmente (tralasciando, ulteriormente, gli effetti giuridici che i contribuenti hanno inteso conseguire). Senza contare che un vantaggio fiscale non può essere parziale, e valere solo per un tributo (imposte dirette) e non per un altro (imposta di registro).
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Dario Deotto
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