12/04/2021
Ma la prova dell’illecito tocca sempre al Fisco
Se talune delle argomentazioni della Cassazione a Sezioni unite 8500/2021 sui termini decadenziali dei componenti reddituali pluriennali possono essere accettate, non può invece essere condivisa la conseguenza secondo cui il contribuente può essere sottoposto ad accertamento senza il rispetto di alcun termine decadenziale per l’amministrazione, come nel caso delle perdite riportabili.
La sensazione è che, come accaduto dopo gli approdi giurisprudenziali sul raddoppio dei termini, anche su questa vicenda dovrà intervenire una legge, per assicurare un minimo di garanzie al contribuente.
Il punto cruciale della pronuncia è quando viene stabilito (4.5) che «la definitività, in conseguenza del mancato accertamento, della dichiarazione di prima emersione del componente pluriennale non porta in sé il diverso effetto della preclusività di sindacato per un periodo d’imposta successivo». Tutto ciò comunque – secondo la Cassazione – non attribuirebbe «all’amministrazione un potere di controllo per un tempo indeterminato» (4.7).
Invero, questo potere illimitato risulta palese se si pensa, ad esempio, alla possibilità di riporto in avanti (illimitato) delle perdite fiscali. Ciò comporta che, parimenti, anche la tempistica di conservazione documentale risulterebbe potenzialmente illimitata. Sul punto, si nota che il riferimento alla sentenza della Consulta 247/2011 sui termini decadenziali raddoppiati (ora abrogati) non risulta pertinente. A ben vedere, la Consulta ha stabilito la necessità di un obbligo di conservazione documentale comunque entro un determinato termine (quello, al tempo, raddoppiato), mentre nel caso della sentenza n. 8500/2021, il termine risulterebbe, in taluni casi, indeterminato.
L’onere della prova
È chiaro, tuttavia, che fino a un auspicabile intervento legislativo, la questione si gioca sull’onere probatorio. Come afferma la stessa pronuncia 8500/2021, la dichiarazione tributaria riporta “fatti”, non “diritti”. Sicché per i medesimi fatti devono valere le ordinarie regole sull’onere della prova. Regole che, contrariamente a quanto rileva spesso la Cassazione, devono portare a ritenere che tale onere grava sempre e comunque sull’amministrazione, tranne che in presenza di presunzioni legali relative. Sicché se l’onere della prova viene fatto impropriamente ricadere sul contribuente (si pensi all’inerenza dei componenti negativi di reddito) e su questioni oltremodo lontane nel tempo, l’alterazione delle regole ordinarie può rendere a volte impossibile l’assolvimento dello stesso, con grave menomazione del diritto di difesa.
I crediti «senza termine»
In tutto questo non va trascurato l’orientamento della stessa Cassazione secondo cui i termini decadenziali varrebbero soltanto per le dichiarazioni che espongono un debito d’imposta (Cassazione a Sezioni unite 5069/2016). In sostanza, per la Cassazione i termini decadenziali per l’accertamento non valgono per gli atti impositivi con i quali l’amministrazione contesta il credito esposto nella dichiarazione da parte del contribuente. Questa interpretazione viene fatta derivare dal principio secondo cui “quae temporalia ad agendum perpetua ad excipiendum”, in forza del quale ciò che è prescrittibile per l’azione non lo è per l’eccezione. Nello specifico, la Corte mutua dall’articolo 1442 del Codice civile una regola pensata per il solo ambito contrattuale, trascurando il fatto che la stessa regola non appare praticabile nel contesto tributario. [...]
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Dario Deotto
Luigi Lovecchio
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