25/05/2020
Riassetti aziendali imposti dalla crisi ancora a rischio abuso del diritto
Per le attività imprenditoriali la ripresa dall’emergenza passerà in molti casi anche - e forse soprattutto - da forme di aggregazione e riorganizzazione aziendali (e da qualche passaggio generazionale “necessitato”). Su questi processi riorganizzativi, però, pende una sorta di spada di Damocle: quella delle possibili contestazioni in materia di abuso del diritto.
Molti imprenditori temono infatti, in una situazione già di per sé precaria, il successivo intervento delle Entrate. Questo perché, se almeno inizialmente (dalla risoluzione 97/E/2017), l’interpretazione dell’amministrazione è risultata in linea con i principi sottostanti al divieto di abuso del diritto, a partire dal 2019 l’Agenzia ha cominciato a fornire una serie di indicazioni abbastanza discutibili.
In alcune di queste – ed è l’argomento più temuto – l’Agenzia ha posto a confronto i percorsi giuridici individuati dai contribuenti con altre forme ritenute più “fisiologiche”, che (guarda caso) determinano una tassazione più onerosa. È stato anche fatto riferimento – come nella risposta 341/2019 – a «un numero superfluo di negozi giuridici, il cui perfezionamento non è coerente con le normali logiche di mercato, ma appare idoneo unicamente a far conseguire un vantaggio fiscale indebito».
Le logiche di mercato
Il fatto è che, in presenza di operazioni perfettamente valide ed efficaci, l’Agenzia non può sostituire una forma giuridica (o più forme) con un’altra (o con altre), solo perché quella usata dal contribuente risulta fiscalmente meno onerosa. Né tale sostituzione può essere operata effettuando un giudizio di conformità rispetto alle normali logiche di mercato. La valutazione di tali logiche non può che spettare all’imprenditore: non è affatto compito dell’Agenzia (né, poi, dei giudici) fare valutazioni economiche in relazione alle scelte dei contribuenti.
L’Agenzia deve soltanto verificare (nell’elusione) se, attraverso le operazioni realizzate, il contribuente ha conseguito un vantaggio fiscale illegittimo, tenendo conto che questi può perseguire i suoi obiettivi economici attraverso più forme giuridiche.
Ma gli obiettivi economici, le logiche di mercato, non possono – si ripete - essere sindacati dal Fisco: l’effetto economico dei negozi giuridici riguarda soltanto l’economia. Così come il Fisco non può individuare degli effetti economici ulteriori rispetto a quelli giuridici. Perché in materia tributaria non c’è alcuna previsione normativa che stabilisca – come principio generale – la rilevanza fiscale degli effetti economici dei negozi giuridici o, comunque, una sorta di supremazia della rilevanza economica sull’assetto del rapporto giuridico. Tranne quando la rilevanza economica dei contratti o delle operazioni viene espressamente disciplinata dalla legge.
Rimuovere gli ostacoli
Chiaramente, il Fisco può intervenire per rettificare le forme giuridiche utilizzate in presenza di vicende simulatorie/dissimulatorie, dove si è in presenza di un’asimmetria tra la situazione formale e quella reale.
Nell’abuso del diritto non c’è, invece, alcuna manipolazione della realtà. Vi è perfetta coincidenza tra ciò che le parti dichiarano di volere e ciò che realmente vogliono: è soltanto il vantaggio fiscale conseguito che risulta indebito. Cosa si può fare, allora, per scongiurare che tutta una serie di fenomeni aggregativi imprenditoriali risultino ostaggio di possibili (inappropriate) rettifiche fondate sull’abuso del diritto?
Il fatto è che il testo dell’articolo 10-bis dello Statuto risulta ispirato a logiche non del tutto condivisibili, in quanto, da un lato, sembra riferirsi a fenomeni tipicamente evasivi e, dall’altro, invade la sfera di libertà del contribuente.
Occorrerebbe quindi intervenire legislativamente per eliminare, innanzitutto, quello che risulta uno dei più grandi fraintendimenti tributari italiani, derivante da un retaggio della prima legislazione antielusiva tedesca, addirittura del 1919: l’inopponibilità. In sostanza, gli atti compiuti dal contribuente (perfettamente validi) vengono considerati inefficaci nei confronti dell’amministrazione; in questo modo, però, il Fisco può sostituire con altre le forme giuridiche utilizzate dal contribuente.
Inoltre, andrebbe eliminata dal comma 2 dell’articolo 10-bis la previsione secondo cui la mancanza di sostanza economica può derivare dalla «non conformità dell’utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato». Come sì è detto, la valutazione delle logiche di mercato compete all’imprenditore, non al Fisco.
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A cura di
Dario Deotto
Luigi Lovecchio